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Sistema Solare 2

Marte

Immagine composita ripresa dall'orbiter della missione Viking 1 che mostra la Valles Marineris

Classificazione

Pianeta terrestre

PARAMETRI ORBITALI
(epoca di riferimento: J2000)

Semiasse maggiore

227 936 637 km

1,52366231 UA

Perielio

206 644 545 km

1,38133346 UA

Afelio

249 228 730 km

1,66599116 UA

Circonferenza orbitale

1 429 000 000 km

9,553 UA

Periodo orbitale

686,9600 giorni

(1,8808 anni)

Periodo sinodico

779,96 giorni

(2,135 anni)

Velocità orbitale

21 972 m/s (min)

24 077 m/s(media)

26 499 m/s (max)

Inclinazione sull'eclittica

1,85061°

Inclinazione rispetto all'equatore del Sole

5,65°

Eccentricità

0,09341233

Longitudine del nodo ascendente

49,57854°

Argom. del perielio

286,46230°

Satelliti

2

Anelli

no

DATI FISICI

Diametro equat.

6804,9 km

Diametro polare

6754,8 km

Schiacciamento

0,00736

Superficie

1,448 × 1014

Volume

1,6318 × 1020

Massa

6,4185 × 1023kg

Densità media

3,934 × 103kg/m³

Accelerazione di gravità in superficie

3,69 m/s² (0,376 g)

Velocità di fuga

5 027 m/s

Periodo di rotazione

1,025957 giorni (24 h 37 min 23 s)

Velocità di rotazione (all'equatore)

241,17 m/s

Inclinazione assiale

25,19°

A.R. polo nord

317,68143° (21 h 10 min 44 s)

Declinazione

52,88650°

Temperatura superficiale

-140 °C - 133 K (min)

-63 °C - 210 K (media)

20 °C - 293 K (max)

Pressione atmosferica

6,9-9 hPa

Albedo

0,15

DATI OSSERVATIVI

Magnitudine apparente da Terra

-2,00 (media)

-2,91 (max)

Diametro apparente da Terra

3,5" (min)

25,1" (max)

Marte è il quarto pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole e l'ultimo dei pianeti di tipo terrestre, dopo Mercurio, Venere e la Terra. Viene inoltre chiamato il Pianeta rosso, a causa del suo colore caratteristico dovuto alle grandi quantità di ossido di ferro che lo ricoprono.
Il pianeta, pur presentando un'atmosfera molto rarefatta e temperature medie superficiali piuttosto basse (tra -140 °C e 20 °C), è, tra i pianeti del sistema solare, quello più simile alla Terra: infatti, nonostante le sue dimensioni siano intermedie fra quelle del nostro pianeta e della Luna (il diametro è circa la metà di quello della Terra e la massa poco più di un decimo), presenta inclinazione dell'asse di rotazione e durata del giorno simili a quelle terrestri; inoltre la sua superficie presenta formazioni vulcaniche, valli, calotte polari e deserti sabbiosi, oltre a formazioni geologiche che suggeriscono la presenza, in un lontano passato, di un'idrosfera.
Tuttavia la superficie del pianeta appare fortemente craterizzata, a causa della quasi totale assenza di agenti erosivi (attività geologica, atmosferica e idrosferica in primis) in grado di modellare le strutture tettoniche; inoltre, la bassissima densità dell'atmosfera non è in grado di consumare buona parte dei meteoriti, che quindi raggiungono il suolo con maggior frequenza che non sulla Terra.
Fra le formazioni geologiche più notevoli di Marte si segnalano l'Olympus Mons, il vulcano più grande del sistema solare (alto 27 km), e la Valles Marineris, un lungo canyon più esteso di quelli terrestri; nel giugno 2008 la rivista Nature ha esposto le prove di un enorme cratere sull'emisfero boreale circa quattro volte più grande del cratere chiamato il Bacino Polo Sud-Aitken.
Marte all'osservazione presenta delle variazioni di colore, imputate inizialmente alla presenza di vegetazione stagionale, che al variare dei periodi dell'anno cambiava di colore. Tuttavia le osservazioni spettroscopiche dell'atmosfera avevano da tempo fatto abbandonare l'ipotesi che vi potessero essere mari, canali e fiumi oppure un'atmosfera sufficientemente densa. Il colpo di grazia a questa ipotesi fu dato dalla missione Mariner 4 nel 1965, che mostrò un pianeta desertico e arido, caratterizzato da periodiche ma particolarmente violente tempeste di sabbia. La speranza che Marte possa accogliere la vita è tuttavia stata ripresa in considerazione da quando il modulo Phoenix ha scoperto acqua sotto forma di ghiaccio, il 31 luglio 2008.
Attualmente sono tre i satelliti artificiali funzionanti che orbitano attorno a Marte: il Mars Odyssey, il Mars Express e il Mars Reconnaissance Orbiter. Il Phoenix Mars Lander ha recentemente concluso la sua missione di studio della geologia marziana e ha fornito le prove dell'esistenza di acqua allo stato liquido in passato su ampie zone della superficie. Inoltre ha suggerito che sulla superficie possano essersi verificati nell'ultimo decennio dei flussi d'acqua simili a geyser.
Osservazioni da parte del Mars Global Surveyor manifestano una contrazione della calotta di ghiaccio al polo sud.
Attorno a Marte orbitano due satelliti naturali, Phobos e Deimos, di piccole dimensioni e dalla forma irregolare, probabilmente due asteroidi catturati dal suo campo gravitazionale. Marte ha anche alcuni asteroidi troiani, tra cui Eureka.
Marte prende il nome dall'omonima divinità della mitologia romana; il simbolo astronomico del pianeta è la rappresentazione stilizzata dello scudo e della lancia del dio ().

Osservazione da Terra

Ad occhio nudo, Marte solitamente appare di un marcato colore giallo, arancione o rossastro e per luminosità è il più variabile tra tutti i pianeti visibile dalla Terra nel corso della sua orbita. La sua magnitudine apparente infatti passa da +1,8 alla congiunzione fino a -2,9 all'opposizione perielica (fenomeno che si verifica ogni due anni circa e quindi rende il pianeta difficile da osservare). A causa dell'eccentricità orbitale la sua distanza relativa varia ad ogni opposizione determinando piccole e grandi opposizioni, con un diametro apparente da 3,5 a 25,1 secondi d'arco.
Il punto in cui Marte è più vicino alla Terra è definito opposizione mentre il periodo che intercorre tra due opposizioni, o periodo di rivoluzione, è di 780 giorni. All'opposizione, Marte dista dalla Terra 78,39 milioni di km, presenta un diametro apparente di 17,9 secondi d'arco e una magnitudine apparente di -2,0. A causa dell'eccentricità delle due orbite, i momenti di opposizione possono variare anche di 8,5 giorni e la distanza tra i pianeti può passare da un minimo di 55,7 milioni di km ad un massimo di 401,3 milioni di km.
L'avvicinarsi di Marte all'opposizione comporta l'inizio di un periodo di moto retrogrado per cui dalla Terra sembrerà muoversi in direzione opposta alla sua orbita formando un "loop" se si considera la volta celeste sullo sfondo come riferimento.
Il 27 agosto 2003 alle 9:51:13 UT, Marte si è trovato vicino alla Terra come mai in quasi 60.000 anni: 55.758.006 km (o 0,372719 AU). Ciò fu possibile perché Marte si trovava ad un giorno dall'opposizione e circa a tre giorni dal suo perielio, cosa che lo rese particolarmente visibile da Terra. Tuttavia questo avvicinamento è solo di poco più vicino rispetto ad altri. Infatti per esempio il 22 agosto 1924 la distanza minima fu di 0,372846 AU e si prevede che il 24 agosto 2208 sarà di 0,372254 AU


Storia delle osservazioni

Marte è, dopo Venere, il pianeta più facilmente individuabile dalla Terra, per via della grande luminosità relativa e del caratteristico colore rosso. Per questo motivo già le popolazioni di area grecoromana lo associavano all'immagine di Ares/Marte, dio della guerra. Tra i primi a descrivere delle osservazioni di Marte si ricorda Aristotele il quale ne notò anche il passaggio dietro alla Luna ottenendo così un prova empirica della concezione di un universo geocentrico. Il 13 ottobre 1590 Michael Mästlin osserva l'unica occultazione documentata di Marte da Venere presso la città tedesca di Heidelberg. Nel 1609 Galileo Galilei fu il primo uomo a puntare un telescopio verso Marte.
Fu solo sul finire del XIX secolo, tuttavia, che attente osservazioni e il miglioramento della tecnologia permisero di ottenere una visione sufficientemente nitida da distinguere le caratteristiche del suolo marziano. Il 5 settembre 1877 si verificò un'opposizione perielica e in quell'anno l'astronomo italiano Giovanni Schiaparelli, in quel momento a Milano, utilizzò un telescopio di 22 centimetri per formulare la prima mappa dettagliata di Marte, la cui nomenclatura è tutt'oggi quella ufficiale. Ne risultarono strutture che l'astronomo definì "Canali" (in seguito venne dimostrato che si trattava di illusioni ottiche) in quanto la superficie del pianeta presentava diverse lunghe linee alle quali egli attribuì nomi di celebri fiumi terrestri.

Percival Lowell intento ad osservare il Pianeta Rosso dal suo osservatorio.

L'errata traduzione in inglese del termine "canali" usato nei lavori di Schiaparelli (venne usato il termine " canal " - canale artificiale - piuttosto che " channel ", generico), portò il mondo scientifico a credere che su Marte vi fossero canali irrigui artificiali, mentre effettivamente lo scienziato aveva solo parlato di grandi solchi sulla superficie. Influenzato da queste traduzioni, l'americano Percival Lowell fondò un osservatorio astronomico, il Lowell Observatory , dotato di un telescopio di 300 e 450 mm che venne usato nella particolarmente favorevole opposizione del 1894 e nelle successive. Pubblicò diversi libri su Marte e le sue teorie sull'esistenza di vita sul pianeta, basate anche sull'origine artificiale dei canali, ebbero una notevole influenza sull'opinione pubblica. Tra gli astronomi che osservarono gli ormai caratteristici canali marziani si ricordano inoltre Henri Joseph Perrotin e Louis Thollon di Nizza. Nacque in quel periodo l'immagine di un mondo vecchio (contrapposto ad una Terra di mezza età e a Venere primitiva), dove la siccità aveva costretto la matura civiltà marziana ad immense opere di canalizzazione: un topos che avrà notevole successo in fantascienza.
Per lungo tempo si ritenne che Marte fosse un pianeta coperto di vegetazione e alcuni mari. I cambiamenti stagionali di Marte infatti causavano una riduzione delle calotte polari d'estate e creavano ampie macchie scure sulla sua superficie. Tuttavia le osservazioni al telescopio non erano in grado di confermare tali speculazioni: al progredire della qualità dei telescopi si assisteva ad una riduzione dei canali. Nel 1909 Camille Flammarion con un telescopio di 840 mm osservò disegni irregolari ma nessun canale.
La stagionalità marziana fu d'ispirazione, nonostante l'inesistenza di prove, per teorie sulla possibile struttura dell' ecosistema di Marte addirittura fino negli anni sessanta del XX secolo. In rinforzo a tali tesi vennero presentati anche scenari dettagliati riguardanti il metabolismo e i cicli chimici dello stesso.

I progressi nell'osservazione spaziale consentirono inoltre la scoperta dei due satelliti naturali, Phobos e Deimos, probabilmente asteroidi catturati dalla gravità del pianeta. L'esistenza di tali satelliti era già stata postulata da tempo, tanto che oltre un secolo e mezzo prima Jonathan Swift ne citava alcuni dati orbitali approssimativi ne "I viaggi di Gulliver". Le aspettative del grande pubblico vennero disattese quando, nel 1965, la sonda Mariner 4 raggiunse per la prima volta il pianeta, non rilevando segni di costruzioni. Il primo atterraggio di sonde automatiche avvenne undici anni dopo, con le missioni Viking I e II, ma non vennero rilevate tracce di vita o di composti organici in superficie. Dal finire dello scorso secolo Marte è stato nuovamente meta di numerose sonde, statunitensi ed europee, che hanno portato a un significativo miglioramento delle nostre conoscenze sul pianeta. Grazie alla missione Mars Global Surveyor, terminata verso la fine del 2006, si sono ottenute infatti mappe molto dettagliate dell'intera superficie di Marte. Nel 2005 l'amministrazione americana ha infine commissionato alla NASA gli studi per una possibile missione umana fino a Marte.

Parametri orbitali

Vista delle orbite di Marte (rosso) e Cerere (giallo) dal polo nord eclittico. In entrambe le immagini i segmenti delle orbite al di sotto dell'eclittica sono più scuri. Il perielio (q) e afelio (Q) sono contrassegnati con la data del loro ultimo passaggio.

Marte orbita attorno al Sole ad una distanza media di circa 228 milioni di km (1,52 unità astronomiche) e il suo periodo di rivoluzione è di circa 687 giorni o 1 anno, 320 giorni e 18,2 ore terrestri. Il giorno solare di Marte (il Sol) è poco più lungo del nostro: 24 ore, 39 minuti e 35,244 secondi. L'inclinazione assiale marziana è di 25° e 19' che risulta simile a quella della Terra. Per questo motivo le stagioni si assomigliano eccezion fatta per la durata doppia su Marte. Inoltre il piano dell'orbita si discosta di circa 1,85° da quello dell'eclittica. Marte ha superato il suo perielio l'ultima volta nel giugno 2007 e il suo afelio nel maggio 2008. Il prossimo periastro si verificherà nell' aprile 2009.
A causa della discreta eccentricità della sua orbita, pari a 0,09341233, la sua distanza dalla Terra all'opposizione può dall'asse nodale oscillare fra circa 100 e circa 56 milioni di km. Solo Mercurio ha un'eccentricità superiore nel Sistema Solare. Tuttavia in passato Marte seguiva un'orbita molto più circolare: circa 1,35 milioni di anni fa la sua eccentricità era equivalente a 0,002 che è molto inferiore a quella terrestre attuale. [15] Marte ha un ciclo di eccentricità di 96 000 anni terrestri paragonati ai 100.000 della Terra. [16] Negli ultimi 35.000 anni l'orbita marziana è diventata sempre più eccentrica a causa delle influenze gravitazionali degli altri pianeti e il punto di maggior vicinanza tra Terra e Marte continuerà e diminuire nei prossimi 25.000 anni.
Marte infine ha una massa pari ad appena l'11% di quella terrestre; il suo raggio equatoriale misura 3392,8 km.

Caratteristiche fisiche

Atmosfera

Composizione Atmosferica

Anidride carbonica (CO)

95,32%

Azoto (N)

2,7%

Argon (Ar)

1,6%

Ossigeno (O)

0,13%

Monossido di carbonio (CO)

0,07%

Acqua (H2O)

0,03%

Monossido di azoto (NO)

0,01%

Neon (Ne)

tracce

Kripton (Kr)

tracce

Xenon (Xe)

tracce

Ozono (O)

tracce

Metano (CH)

tracce

Il sottile strato atmosferico di Marte è visibile sull'orizzonte. La magnetosfera di Marte è assente a livello globale e, in seguito alle rilevazioni del magnetometro MAG/ER del Mars Global Surveyor, considerando che è stata constatata l'assenza di magnetismo sopra i crateri Argyre e Hellas Planitia, si presume sia scomparsa da circa 4 miliardi di anni e quindi i venti solari colpiscono direttamente la sua ionosfera. Questo mantiene l'atmosfera del pianeta piuttosto sottile per via della continua asportazione di atomi dalla parte più esterna della stessa. A riprova di questo fatto sia il Mars Global Surveyor che il Mars Express hanno individuato queste particelle atmosferiche ionizzate allontanarsi dietro il pianeta. La pressione atmosferica media è di 700 Pa ma varia da un minimo di 30 Pa sull'Olympus Mons a oltre 1155 Pa nella depressione di Hellas Planitia. Per un paragone Marte ha una pressione atmosferica pari a 1% rispetto alla Terra.
L'atmosfera marziana si compone principalmente di anidride carbonica (95%), azoto (2,7%), argon (1,6%), vapore acqueo, ossigeno e monossido di carbonio.

Tracce di metano rilasciate nell'atmosfera durante l'estate dell'emisfero nord È stato definitivamente provato che è presente anche metano nell'atmosfera marziana, e in certe zone anche in grandi quantità; la concentrazione media si aggirerebbe comunque sulle 10 ppb per unità di volume.
Dato che il metano è un gas instabile che viene scomposto dalla radiazione ultravioletta solitamente in un periodo di 340 anni nelle condizioni atmosferiche marziane, la sua presenza indica l'esistenza di una fonte relativamente recente del gas. Tra le possibili cause troviamo attività vulcanica, l'impatto di una cometa e la presenza di forme di vita microbiche generanti metano. Un'altra possibile causa potrebbe essere un processo non biologico dovuto alle proprietà della serpentinite di interagire con acqua, anidride carbonica e l'olivina, un minerale comune sul suolo di Marte.
Durante l'inverno l'abbassamento della temperatura provoca il condensamento del 25-30% dell'atmosfera che forma spessi strati di ghiaccio secco o di anidride carbonica.
Con l'estate il ghiaccio sublima causando grandi sbalzi di pressione e conseguenti tempeste con venti che raggiungono i 400 km/h. Questi fenomeni stagionali trasportano grandi quantità di polveri e vapore d'acqua che generano grandi cirri. Queste nuvole vennero fotografate dal rover Opportunity nel 2004.

Clima

Immagine ripresa dal telescopio spaziale Hubble il 28 ottobre 2005 che mostra una vasta tempesta di sabbia in prossimità dell'equatore del pianeta.

Tra tutti i pianeti del Sistema Solare, Marte è quello con il clima più simile a quello terrestre per via dell'inclinazione del suo asse di rotazione. Le stagioni tuttavia durano circa il doppio dato che la distanza dal Sole lo porta ad avere una rivoluzione di poco meno di 2 anni. Le temperature variano dai -140 °C degli inverni polari a 20 °C dell'estate. La forte escursione termica è dovuta anche al fatto che Marte ha un'atmosfera sottile (e quindi una bassa pressione atmosferica) e una bassa capacità di trattenere il calore del suolo.
Una differenza interessante rispetto al clima terrestre è dovuta alla sua orbita molto eccentrica. Infatti Marte è prossimo al periastro quando è estate nell'emisfero meridionale (e l'inverno in quello settentrionale) e vicino all' afastro nella situazione opposta. La conseguenza è un clima più estremo nell'emisfero sud rispetto a quello nord. Le temperature estive dell'emisfero meridionale possono essere fino a 30 °C più calde di quelle di un'equivalente estate in quello nord.
Rilevanti sono anche le tempeste di sabbia che possono estendersi su una piccola zona così come sull'intero pianeta. Solitamente si verificano quando Marte si trova prossimo al Sole ed è stato dimostrato che aumentano la temperatura atmosferica del pianeta. Entrambe le calotte polari sono composte principalmente da acqua ricoperta da uno strato di circa un metro di anidride carbonica solida al polo nord, mentre lo stesso strato raggiunge gli otto metri in quello sud.
Entrambi i poli presentano dei disegni a spirale causati dall'interazione tra il calore solare disomogeneo e la sublimazione e condensazione del ghiaccio. Le loro dimensioni variano inoltre a seconda della stagione.

Geografia

La topografia di Marte presenta una dicotomia netta tra i due emisferi: a nord dell'equatore si trovano enormi pianure coperte da colate laviche mentre a sud la superficie è segnata da grandi altipiani segnati da migliaia di crateri. Una teoria proposta nel 1980, e avvalorata da prove scientifiche nel 2008, giustifica questa situazione attribuendone l'origine ad una collisione del pianeta con un oggetto con dimensioni stimate tra un decimo e due terzi di quelle della Luna, avvenuta circa 4 miliardi di anni fa.
Se tale teoria venisse confermata, l'emisfero boreale marziano, che ricopre circa il 40% del pianeta, diventerebbe il sito d'impatto più vasto del Sistema Solare con 10.600 km di lunghezza e 8.500 km di larghezza strappando il primato al Bacino Polo Sud.
La superficie di Marte non pare movimentata dall'energia che caratterizza quella terrestre. In sostanza, Marte non ha una crosta suddivisa in placche, e quindi la tettonica a zolle del modello terrestre risulta inapplicabile a tale pianeta.

Mappa topografica di Marte. Sono evidenti gli imponenti altipiani vulcanici (in rosso) e i profondi crateri (in blu)

L'Olympus Mons, il vulcano più alto del Sistema solare

L'attività vulcanica è stata molto intensa, come testimonia la presenza di imponenti vulcani. Il maggiore di essi è l' Olympus Mons, che, con una base di 600 km e un'elevazione pari a circa 24 km rispetto alle pianure circostanti, è il maggior vulcano del sistema solare. Esso è molto simile ai vulcani a scudo delle isole Hawaii, originatisi dall'emissione per lunghissimi tempi di lava molto fluida. Uno dei motivi per i quali tali giganteschi edifici vulcanici sono presenti è che, per l'appunto, la crosta marziana è priva della mobilità delle placche tettoniche. Questo significa che i "punti caldi" da cui sale in superficie il magma battono sempre le stesse zone del pianeta, senza spostamenti nel corso di milioni di anni di attività. La ridotta forza di gravità ha certamente agevolato la lava, che su Marte ha un peso di poco superiore a quello dell'acqua sulla Terra. Questo rende possibile una più facile risalita dal sottosuolo e una più ampia e massiva diffusione sulla superficie.
Un gigantesco canyon, lungo 5000 km, largo 500 km e profondo 5-6 km attraversa il pianeta all'altezza dell'equatore e prende il nome di Valles Marineris, ed è l'unica struttura vagamente simile a quelle osservate nel XIX secolo e considerate poi uno dei più grandi sbagli della moderna astronomia. La sua presenza costituisce un vero e proprio sfregio sulla superficie marziana, e data la sua enorme struttura, non è chiaro cosa possa averla prodotta: certamente non l'erosione data da agenti atmosferici o acqua. La struttura di questo canyon è tale da far sembrare minuscolo il Grand Canyon americano. L'equivalente terrestre sarebbe, dimensionalmente parlando, un canyon che partisse da Londra e arrivasse a Città del Capo, con profondità dell'ordine dei 10 km. Questo consente di capire come tale canyon abbia una considerevole importanza per la struttura di Marte, e come esso non sia classificabile con casi noti sulla Terra. Un altro importante canyon è la Ma'adim Vallis (dal termine ebraico che indica appunto Marte). La sua lunghezza è di 700 km, la larghezza 20 km e raggiunge in alcuni punti una profondità di 2 km. Durante l'epoca Noachiana la Ma'adim Vallis appariva come un enorme bacino di drenaggio di circa 3 milioni di km.
Marte presenta inoltre approsimativamente 43.000 crateri d'impatto con un diametro superiore a 5 km.
Il maggiore tra questi risulta essere il Bacino Hellas, una struttura con albedo chiara visibile anche da Terra. Marte, per le sue dimensioni, ha una probabilità inferiore della Terra di entrare in collisione con un oggetto esterno. Tuttavia il pianeta si trova più prossimo alla cintura degli asteroidi ed esiste la possibilità che entri addirittura in contatto con oggetti intrappolati nell'orbita gioviana.
Ad ogni modo l'atmosfera marziana fornisce una protezione dai corpi più piccoli: paragonata a quella lunare, la superficie di Marte è meno craterizzata.
Il Thermal Emission Imaging System (THEMIS) montato sul Mars Odyssey ha rilevato sette possibili ingressi di caverne sui fianchi del vulcano Arsia Mons.
Ogni caverna porta il nome delle persone amate degli scopritori.
Le dimensioni di questi ingressi vanno dai 100 ai 252 m in larghezza e si ritiene che la loro profondità possa essere compresa tra i 73 e i 96 m. A parte la caverna "Dena", tutte le caverne non lasciano penetrare la luce rendendo impossibile stabilirne le esatte dimensioni interne.
Il 19 febbraio 2008 il Mars Reconnaissance Orbiter ha immortalato un importarte fenomeno geologico. Le immagini infatti hanno ripreso una frana spettacolare che si ritiene composta da ghiaccio frantumato, polvere e grandi blocchi di roccia che si sono distaccati da una scogliera alta circa 700 metri. Prove di tale valanga si sono riscontrate anche attraverso le nubi di polvere appunto sopra le stesse scogliere.

Nomenclatura

La nomenclatura marziana, segue le mappe create dai primi osservatori del pianeta. Johann Heinrich Mädler e Wilhelm Beer furono i primi a stabilire che la maggior parte delle caratterisitche della superficie di Marte fossero permanenti e calcolarono inoltre anche la durata del periodo di rotazione. Nel 1840 Mädler tracciò la prima mappa del pianeta sulla base di dieci anni di osservazioni. I due scienziati anziché attribuire un nome alle singole caratteristiche, assegnarono ad ognuna di esse una lettera.
Tra le prime mappe in cui furono definiti i nomi della superficie del pianeta si ricordi quella del 1877 ad opera di Giovanni Virginio Schiaparelli, il quale determinò e descrisse le principali conformazioni ricavando i nomi da termini indicanti antichi popoli (Ausonia), dei, luoghi geografici (Syrtis Major, Benacus Lacus), mitologici (Cerberus, Gorgonium Sinus) ecc. Sono poi seguite altre mappe come quelle di Lowell (1894), Antoniadi (1909), De Mottoni (1957).
Generalmente la superficie di Marte è classificata in base alle differenze di albedo. Le piane più chiare, coperte di polveri e sabbie ricche di ossido di ferro, portano nomi di vaste aree geografiche come ad esempio Arabia Terra o Amazonis Planitia. Le strutture più scure invece, che un tempo vennero considerate dei mari, trovano esempi di nomi appunto come Mare Erythraeum, Mare Sirenum e Aurorae Sinus. La struttura più scura visibile da Terra è Syrtis Major. Successivamente la nomenclatura è stata approvata dall'IAU e ufficialmente introdotta per identificare i luoghi marziani.

Mappa di Marte disegnata da Schiaparelli; si notino i nomi assegnati dall'astronomo italiano alle principali formazioni marziane, ancora oggi in uso.

Geologia

La crosta, il mantello e il nucleo di Marte si formarono entro circa 50 milioni di anni dalla nascita del Sistema Solare e rimasero attivi per il primo miliardo.
Il mantello fu la regione rocciosa interna che trasferiva il calore generato durante l'accrescimento e formazione del nucleo. Si ritiene che la crosta sia stata creata dalla fusione della parte superiore del mantello mutando nel corso del tempo a causa di impatti con oggetti estranei, vulcanismo, movimenti successivi del mantello stesso ed erosione.

La struttura interna del pianeta

Grazie alle osservazioni della sua orbita attraverso lo spettrometro TES del Mars Global Surveyor e l'analisi dei meteoriti, è possibile sapere che Marte ha una superficie ricca di basalto. Alcune zone però mostrano quantità predominanti di silicio che potrebbe essere simile all'andesite sulla Terra. Gran parte della superficie è coperta da ossido ferrico che gli conferisce il suo peculiare colore rosso intenso. La crosta ha uno spessore medio di 50 km con un picco di 125 km. Per fare un confronto con quella terrestre, che ha uno spessore di circa 40 km, si potrebbe dire che la crosta marziana è tre volte più spessa, considerando le dimensioni doppie del nostro pianeta.
Il mantello, più denso di quello terrestre (di circa 2,35 volte), è composto soprattutto da silicati e, benché sia attualmente inattivo, è all'origine di tutte le testimonianze di fenomeni tettonici e vulcanici sul pianeta. Attualmente è stato possibile identificare la composizione del mantello fino ad una pressione di 23,5 GPa e il modello di Dreibus e Wänke indica che la sua composizione include olivina, clinopirosseno, ortopirosseno e granato.
Il nucleo di Marte è composto principalmente da ferro con il 14-17% di solfuro di ferro e si estende per un raggio di circa 1480 km. Molto probabilmente il nucleo non è liquido, ma allo stato viscoso; di conseguenza Marte non presenta un campo magnetico apprezzabile (massimo 5 nT, nanoTesla) né attività geologica di rilievo. Questo comporta la mancanza di protezione del suolo del pianeta dall'attività di particelle cosmiche ad alta energia; tuttavia la maggiore distanza dal Sole rende meno violente le conseguenze della sua attività. Anche se Marte non dispone di un campo magnetico intrinseco, è possibile provare che parti della sua crosta siano state magnetiche e che si sia avuta una polarità alternata attorno ai suoi due poli. Una teoria, pubblicata nel 1999 e rivista nel 2005 assieme alle ricerche del Mars Global Surveyor, deduce dal paleomagnetismo marziano che fino a circa 4 miliardi di anni fa esistevano movimenti tettonici su Marte e la loro scomparsa è la causa di una magnetosfera quasi inesistente.
La storia geologica di Marte è stata divisa in tre ere. A tale scopo si è ricorso all'analisi della densità dei crateri d'impatto presenti sulla sua superficie, allo studio dei meteoriti marziani rinvenuti sulla Terra e dei flussi lavici superficiali:
- Epoca Noachiana (così nominata dalla Noachis Terra): si colloca tra 3,8 miliardi e 3,5 miliardi di anni fa. Vede la formazione della superficie più antica di Marte ed è riconoscibile per le numerose cicatrici lasciate dai crateri. La regione Tharsis si è formata in questo periodo, anche grazie a grandi correnti di acqua allo stato liquido presenti in questo periodo.
- Epoca Hesperiana (da Hesperia Planum): da 3,5 miliardi a 1,8 miliardi di anni fa. Nelle sue fasi iniziali si formarono Hellas e Argyre Planitia. Degna di nota inoltre per la formazione di ampie pianure laviche.
- Epoca Amazzoniana (da Amazonis Planitia): da 1,8 miliardi di anni fa al presente. Tra gli aspetti salienti la formazione in questo periodo dell'Olympus Mons e di altre grandi strutture vulcaniche. Si distingue inoltre una tarda epoca Amazzoniana iniziata tra i 600 e i 300 milioni di anni fa.

Idrologia

Foto di una microscopica formazione rocciosa originata da interazione con acqua ripresa da Opportunity

Attualmente la presenza di acqua allo stato liquido è impossibile su Marte a causa della sua pressione atmosferica eccessivamente bassa (salvo in zone di elevata depressione e per brevi periodi di tempo).
Il ghiaccio d'acqua però è abbondante: i poli marziani infatti ne sono ricoperti e lo strato di permafrost si estende fino a latitudini di circa 60°. La NASA nel marzo del 2007 annunciò che se si ipotizzasse lo scioglimento totale delle calotte polari, l'intero pianeta verrebbe sommerso da uno strato d'acqua profondo 11 metri.
Si ritiene che grandi quantità di acqua siano intrappolate sotto la spessa criosfera marziana. La formazione della Valles Marineris e dei suoi canali di fuoriuscita dimostrano infatti che durante le fasi iniziali della storia di Marte fosse presente una grande quantità di acqua allo stato liquido. Una testimonianza più recente la si può ritovare nella Cerberus Fossae, una frattura della crostra risalente a 5 milioni di anni fa, dalla quale proviene il mare ghiacciato attualmente visibile sulla Elysium Planitia con al centro la Cerberus Palus. Tuttavia è ragionevole ritenere che la morfologia di questi territori possa essere dovuta alla stagnazione di correnti laviche anziché all'acqua. La struttura del terreno e sua inerzia termica paragonabile a quella delle pianure di Gusev, assieme alla presenza di formazioni coniche simili a vulcani, avvalorano la seconda tesi. In più la stechiometria molare frazionaria dell'acqua in quelle aree è solamente del 4% circa, fatto attribuibile più a minerali idrati che alla presenza di ghiaccio superficiale.
Le teorie che vedevano la rete di canali marziani come letti di fiumi vennero confutate grazie alle fotografie ad alta risoluzione del Mars Global Surveyor. Infatti nonostante siano visibili reti complesse apparentemente dotate di affluenti e corsi principali, non sono state scoperte sorgenti o reti in scala inferiore che possano giustificare l'origine di ipotetici corsi d'acqua di grande portata. Il Mars Global Surveyor tuttavia ha anche fotografato alcune centinaia di esempi simili a canali di trasudamento presso crateri e canyon. Questi burroni sono maggiormente presenti su altipiani dell'emisfero australe e tutti hanno un orientamento di 30° rispetto al polo meridionale. Non sono state riscontrate erosioni o crateri lasciando supporre una loro formazione piuttosto recente.

Nuovo deposito in un cratere nella regione Centauri Montes

Un esempio lampante di questo fenomeno di trasudazione di acqua dal sottosuolo che è possibile individuare in certi burroni è visibile nell'immagine qui riportata. Essa mostra un punto di una faglia con quello che appare come un nuovo deposito di sedimenti. Michael Meyer, il responsabile del Programma di Esplorazione Marziana della NASA, asserisce che solo un flusso di materiali con un elevato contenuto di acqua allo stato liquido può produrre un sedimento di tale forma e colore. Tuttavia non è ancora possibile escludere che l'acqua possa provenire da precipitazioni o da altre fonti che non siano sotterranee. Ulteriori scenari sono stati considerati, compresa la possibilità che i depositi siano stati causati da ghiaccio di anidride carbonica o dal movimeno di polveri sulla superficie marziana.
Altre prove dell'esistenza passata di acqua allo stato liquido su Marte proviene dalla scoperta di specifici minerali come ematite e goethite che in certi casi si formano in presenza di acqua. Ad ogni modo contemporaneamente alla scoperta di nuove prove dell'esistenza di acqua, vengono confutate precedenti ipotesi errate grazie agli studi di immagini ad alta risoluzione (circa 30 cm) inviate dal Mars Reconnaissance Orbiter.

La gravità su Marte

Sulla superficie di Marte l'accelerazione di gravità è mediamente pari a 0,376 volte quella terrestre. A titolo di esempio, un uomo con una massa di 70 kg che misurasse il proprio peso su Marte facendo uso di una bilancia tarata sull'accelerazione di gravità terrestre registrerebbe un valore pari a circa 26,3 kg.

Satelliti naturali

Confronto tra le dimensioni di Phobos e Deimos.

Marte possiede due satelliti naturali: Phobos e Deimos. Entrambi i satelliti vennero scoperti da Asaph Hall nel 1877. I loro nomi, Paura e Terrore, richiamano la mitologia greca secondo la quale Phobos e Deimos accompagnavano il padre Ares, Marte per i Romani, in battaglia. Non è ancora chiaro come e se Marte abbia catturato le sue lune. Entrambe hanno un'orbita circolare, prossima all'equatore, cosa piuttosto rara per dei corpi catturati. Tuttavia la loro composizione suggerisce proprio che entrambe siano oggetti simili ad asteroidi.
Phobos è la maggiore delle due lune misurando 26,6 km nel suo punto più largo. Si presenta come un oggetto roccioso dalla forma irregolare, segnata da numerosi crateri tra cui spicca per dimensioni quello di Stickney che copre quasi metà della larghezza complessiva di Phobos. La superficie del satellite è ricoperta da regolite che riflette solo il 6 % della luce solare che lo investe. La sua densità media molto bassa inoltre ricorda la struttura dei meteoriti di condrite carbonacea e suggerisce che la luna sia stata catturata dal campo gravitazionale di Marte. La sua orbita attorno al Pianeta rosso dura 7 ore e 39 minuti, è circolare e si discosta di 1° dal piano equatoriale; tuttavia, essendo
piuttosto instabile, può far pensare che comunque la cattura sia stata relativamente recente. Phobos ha un periodo orbitale più breve del periodo di rotazione di Marte sorgendo così da ovest e tramontando a est in sole 11 ore. L'asse più lungo del satellite inoltre punta sempre verso il pianeta madre mostrandogli così, come la Luna terrestre, solo una faccia. Poiché si trova sotto l'altitudine sincrona, Phobos è destinato, in un periodo di tempo stimato in 50 milioni di anni, ad avvicinarsi sempre più al pianeta fino ad oltrepassare il limite di Roche e disintegrarsi per effetto delle intense forze mareali.
Deimos invece è la luna più esterna e piccola essendo di 15 km nella sua sezione più lunga. Essa presenta una forma approssimativamente ellittica e, a dispetto della sua modesta forza di gravità, trattiene un significativo strato di regolite sulla sua superficie, che ne ricopre parzialmente i crateri facendola apparire più regolare rispetto a Phobos. Analogamente a quest'ultimo inoltre, Deimos, presenta la stessa composizione della maggior parte degli asteroidi. Deimos si trova appena al di fuori dell'orbita sincrona e sorge a est impiegando però circa 2,7 giorni per tramontare a ovest, nonostante la sua orbita sia di 30 ore e 18 minuti. La sua distanza media da Marte è di 23.459 km. Come Phobos, mostra sempre la medesima faccia al cielo di Marte essendo il suo asse più lungo sempre rivolto verso di esso.
Marte è inoltre l'unico pianeta terrestre attorno al quale ruotano degli asteroidi troiani. Il primo, 5261 Eureka, fu individuato nel 1990. Seguirono (101429) o 1998 VF, (121514) o 1999 UJ e 2007 NS. Ad eccezione di UJ che si trova nel punto troiano L4, tutti gli asteroidi si posizionano in L5. Le loro magnitudini apparenti vanno da 16,1 a 17,8 mentre il loro semiasse maggiore è di 1,526 UA. Un'osservazione approfondita della sfera di Hill marziana, ad eccezione della zona interna all'orbita di Deimos che è resa invisibile dalla luce riflessa da Marte, può escludere la presenza di altri satelliti che superino una magnitudine apparente di 23,5 che corrisponde ad un raggio di 90 m per un'albedo di 0,07.

Esplorazione di Marte

Numerose sono state le missioni verso Marte intraprese dall'Unione Sovietica, Stati Uniti, Europa e Giappone per studiarne la geologia, l'atmosfera e la superficie.
Circa i due terzi delle missioni tuttavia sono risultate degli insuccessi costituiti da perdite e da vari inconvenienti tecnici. Anche per questo motivo il pianeta conserva il suo fascino, il suo mistero e, più in generale, un'ulteriore motivazione per proseguire le ricerche. Le probabilità di trovare tracce di vita attuale su questo pianeta, così come oggi esso ci appare, sono estremamente ridotte; tuttavia, se fosse confermata la presenza di acqua in tempi remoti, aumenterebbero le probabilità di trovare tracce di vita passata.

Missioni passate

Vista del suolo di Marte da Viking 1

Il primo successo si ebbe nel 1964 con il passaggio in prossimità di Marte del Mariner 4 della NASA. Il primo atterraggio invece avvenne nel 1971 grazie ai sovietici Mars 2 e Mars 3 che però persero i contatti con la Terra pochi minuti dopo. In seguito fu creato il programma Viking del 1975 lanciato dalla NASA che consisteva in due satelliti orbitanti con un modulo di atterraggio che raggiunsero il suolo nel 1976. Il Viking 1 rimase operativo per sei anni mentre il Viking 2 per tre. Grazie alla loro attività si ebbero le prime foto a colori della superficie marziana e mappature di qualità tale da essere ancora usate attualmente. Nel 1988 i moduli sovietici Phobos 1 e 2 furono inviati per lo studio di Marte e delle sue due lune. Si perse il segnale di Phobos 1 mentre era in viaggio e Phobos 2 riuscì ad inviare foto del pianeta e di Phobos ma si guastò giusto prima di rilasciare due sonde sulla luna.
Dopo il fallimento nel 1992 del Mars Observer, la NASA nel 1996 inviò il Mars Global Surveyor. La missione di mappatura fu un completo successo e si concluse nel 2001. I contatti si interruppero nel novembre del 2006 dopo 10 anni nell'orbita marziana. Un mese dopo il lancio del Surveyor, la NASA lanciò il Mars Pathfinder che trasportava il robot da esplorazione Sojourner che ammartò nell'Ares Vallis. Anche questa missione fu un successo e divenne famosa per le immagini che inviò sulla Terra.
La missione più recente è stata quella del rover Phoenix Mars Lander che lasciò la Terra il 4 agosto 2007 per raggiungere il polo nord marziano il 25 maggio 2008. Il modulo è dotato di un braccio meccanico con un raggio d'azione di 2,5 metri in grado di scavare per 1 metro nel suolo. Dispone inoltre di una telecamera in miniatura che il 15 giugno 2008 scoprì una sostanza che si rivelò essere acqua il 20 dello stesso mese. La missione si concluse il 10 novembre quando si perse contatto.

Il modulo di ammartaggio di Spirit

Francobollo del Lander Mars 3 (URSS,1972)

Missioni in corso

Nel 2001 la NASA inviò il satellite Mars Odyssey la cui missione terminerà nel settembre 2010. Il satellite, dotato di uno spettrometro a raggi gamma, ha identificato grandi quantità di idrogeno nella regolite marziana. Si ritiene che l'idrogeno fosse contenuto in ampi depositi di ghiaccio.
Nel 2003 l'ESA lanciò il Mars Express Orbiter assieme al modulo di ammartaggio Beagle 2 che venne dichiarato perso agli inizi del febbraio 2004. La squadra del Planetary Fourier Spectrometer, alloggiato nel satellite, scoprì il metano su Marte. Nel giugno 2006 l'ESA inoltre annunciò l'avvistamento di aurore sul pianeta. La NASA invece inviò i due rover gemelli Spirit (MER-A) e Opportunity (MER-B) che raggiunsero il suolo marziano con successo nel gennaio 2004. Tra le scoperte principali si ha la prova definitiva dell'esistenza di acqua allo stato liquido nel passato, grazie al ritrovamento delle sue tracce in entrambi i punti di ammartaggio. I diavoli di sabbia e le forti correnti inoltre hanno allungato la vita dei rover grazie alla continua pulizia dei loro pannelli solari.
Il 12 agosto 2005 fu la volta del Mars Reconnaissance Orbiter della NASA che arrivò a destinazione il 10 marzo 2006 per una missione di due anni. Tra gli obiettivi c'è la mappatura del terreno marziano e delle condizioni atmosferiche per trovare un luogo di ammartaggio adatto alle prossime missioni. Il satellite è dotato anche di un nuovo sistema di telecomunicazione con la Terra. Da notare che il Mars Reconnaissance Orbiter ha scattato le prime immagini di valanghe presso il polo nord del pianeta il 3 marzo 2008.
La missione Dawn infine è passata nell'orbita di Marte nel febbraio 2009 per poter proseguire il suo viaggio verso Vesta e Cerere.

Rappresentazione del Mars Science Laboratory

Missioni future

2007: Alla generazione dei Mars Exploration Rovers seguirà nel 2009 il Mars Science Laboratory: un rover più avanzato, grande e veloce (90 m/h). Tra i suoi obiettivi ci sarà il campionamento laser della composizione chimica delle rocce entro 13 metri. Per lo stesso anno è programmata una missione congiunta di Russia e Cina, la Phobos-Grunt, che avrà il compito di raggiungere la luna marziana per poi ritornare sulla Terra con dei campioni di terreno. Nel 2013 l'ESA prevede l'invio di ExoMars, un progetto in cui l'Italia risulta essere il primo finanziatore e italiana è anche molta della tecnologia di bordo. Esso sarà il primo rover in grado di perforare il suolo fino a 2 metri di profondità per stabilire l'eventuale esistenza di vita passata su Marte. A tale scopo infatti i campioni forniti dalla trivella verranno analizzati da Urey, il rilevatore di materia organica e ossidanti finanziato dalla NASA. Esso è in grado di rilevare anche tracce di molecole organiche e stabilire se siano state originate da forme di vita o meno e, nel caso, quali condizioni ne hanno provocato la scomparsa. La missione Exomars avrà inoltre tra i suoi obiettivi la validazione delle tecnologie necessarie per l'esplorazione sicura del pianeta in prospettiva di una "Mars Sample Return", ovvero una missione di andata e ritorno sulla Terra.
L'esplorazione con equipaggi di Marte è stata considerata come un obiettivo a lungo termine dagli Stati Uniti attraverso il Vision for Space Exploration annunciato nel 2004 dal Presidente George W. Bush. Una cooperazione tra NASA e Lockheed Martin a questo proposito ha iniziato il progetto di Orion la cui missione di prova è programmata per il 2020 verso la Luna per poi intraprendere il viaggio verso Marte. L'ESA invece prevede di inviare astronauti su Marte nel periodo tra il 2030 e il 2035. La missione sarà preceduta dall'invio di grandi moduli iniziando con l'ExoMars e un'altra missione di andata e ritorno.
Il 15 settembre 2008, la NASA ha inoltre annunciato la missione MAVEN programmata per la fine del 2013 per lo studio dell'atmosfera marziana.

Tramonto su Marte ripreso dal Cratere Gusev il 19 maggio 2005 da Spirit

Astronomia su Marte

Al giorno d'oggi, grazie alla presenza di diversi satelliti, sonde e rover, è possibile studiare l'astronomia da Marte. Confrontata con le dimensioni dell'universo, la distanza tra la Terra e Marte è veramente ridotta, tuttavia si possono notare delle differenze nell'osservazione astronomica del nostro sistema solare come, per esempio, un nuovo punto di vista del nostro pianeta e della Luna, dei satelliti Phobos e Deimos oltre ai fenomeni analoghi a quelli terrestri come le aurore e le meteore.

La Terra e la Luna fotografate dal Mars Global Surveyor l'8 maggio 2003 (è visibile il Sud America)

L'8 maggio 2003 alle 13:00 UTC il Mars Global Surveyor fotografò la Terra e la Luna in quel momento molto vicine all'elongazione angolare massima dal Sole e ad una distanza di 0,930 UA da Marte. Le magnitudini apparenti ricavate risultarono essere -2,5 e +0,9. Tali magnitudini tuttavia sono soggette a notevoli variazioni dovute alla distanza e alla posizione di Terra e Luna. Da Marte inoltre è possibile vedere il transito della Terra davanti al Sole. Il più recente si è verificato l'11 maggio 1984 mentre il prossimo è previsto per il 10 novembre 2084.
Phobos appare da Marte con un diametro angolare ampio circa un terzo rispetto a quello della Luna vista da Terra mentre Deimos, per le sue dimensioni, appare come una stella. Un osservatore potrebbe vedere il transito dei due satelliti davanti al Sole anche se per Phobos si dovrebbe parlare di un eclissi parziale della stella, mentre Deimos risulterebbe come un punto sul disco solare.

Vita su Marte

Nel luglio 2008 la NASA annuncia che ha le prove della presenza dell'acqua su Marte. In passato erano stati osservati i segni della passata presenza di acqua: sono stati osservati canali simili ai letti dei fiumi sulla terra. È tuttora oggetto di molti dibattiti l'origine dell'acqua liquida che un tempo scorreva sul pianeta; al giorno d'oggi l'acqua, sotto forma di ghiaccio, costituisce una piccola parte delle calotte polari (il resto è formato da anidride carbonica solida). Altra acqua si trova sotto il suolo del pianeta, ma in quantità ancora sconosciuta. La presenza di acqua nel sottosuolo del polo sud di Marte è stata confermata dalla sonda europea Mars Express nel gennaio del 2004; nel 2005 il radar MARSIS, strumento italiano collocato a bordo della stessa sonda, ha individuato un deposito di ghiaccio dello spessore maggiore di un chilometro tra gli 1,5 e i 2,5 km di profondità, nei pressi della regione di Chryse Planitia.

Frammento del meteorite ALH84001 dove sono visibili le strutture a catena di probabile origine biologica

Il 16 agosto 1996 la rivista Science annunciò la scoperta di prove concrete che suggeriscono l'esistenza della vita su Marte nel meteorite ALH84001. La ricerca venne intrapresa dagli scienziati del Johnson Space Center (JSC) Dr. David McKay, Dr. Everett Gibson e Kathie Thomas-Keprta assieme a un team di ricerca della Stanford University diretto dal Professor Richard Zare. Il meteorite fu rinvenuto presso le Allan Hills in Antartide e risulta uno dei 12 meteoriti rinvenuti sulla Terra che presentano le caratterisitche chimiche peculiari del suolo marziano. Dopo un'analisi che includeva microbiologia, mineralogia, geochimica e chimica organica si ritenne ragionevole affermare che in un periodo tra i 4 e i 3,6 miliardi di anni fa (periodo in cui il pianeta si presentava più caldo e umido) su Marte erano presenti forme di vita molto simili ai nanobatteri presenti sulla Terra.
I risultati di tale ricerca vennero comunque presentati alla comunità scientifica che ancora oggi trova pareri discordanti sulla veridicità di questa tesi. In un articolo apparso sulla rivista "International Journal of Astrobiology" intitolato “Possible organosedimentary structures on Mars” Vincenzo Rizzo e Nicola Cantasano ipotizzano la presenza su Marte di strutture sedimentarie di origine organica simili alle stromatoliti terrestri, rafforzando in questo modo l'ipotesi che il pianeta rosso ospitasse la vita in tempi antichi.
Il 1º agosto 2008 la sonda Phoenix individua l'acqua, sotto forma di ghiaccio, sulla superficie di Marte.
Nell'ottobre 2008 è stata accertata dalla sonda Phoenix neve nelle nuvole marziane, che si è però dissolta prima di raggiungere il suolo.

Dibattiti popolari sulla vita su Marte

• Spesso, formazioni naturali sulla superficie marziana sono state interpretate da alcuni come manufatti artificiali, che avrebbero provato l'esistenza di una non meglio definita civiltà marziana. La Faccia su Marte ne è l'esempio più famoso. La teoria di archeologia marziana viene sostenuta dal traduttore dal sumero Zecharia Sitchin, che sostiene l'esistenza di riferimenti a tale zona marziana nella letteratura sumerica.
Il 23 gennaio 2008 la NASA ha pubblicato alcune foto eseguite dal robot Spirit nel novembre del 2007. Sulla sinistra della foto alcuni blogger credono di individuare una figura di forma umanoide. La NASA ha reso noto che la presunta forma di vita extraterrestre è in realtà un sasso alto 5 cm scolpito dal vento. Si tratta insomma di pareidolia.

Ares Vallis, una delle zone più rocciose di Marte. In lontananza sono visibili i Twin Peaks.

Bandiera di Marte

Nei primi anni 2000, una proposta di bandiera marziana sventolò a bordo dello Space Shuttle Discovery. Disegnata dagli ingegneri NASA e dal task force leader della Flashline Mars Arctic Research Station, Pascal Lee, e portata a bordo dall'astronauta John Mace Grunsfeld, la bandiera consisteva in tre fasce verticali (rosso, verde, e blu), che simboleggiavano la trasformazione di Marte da un pianeta arido (rosso) ad uno che possa sostenere la vita (verde), e finalmente ad un pianeta completamente terraformato con specchi d'acqua ad aria aperta sotto ad un cielo azzurro (blu).

Marte nella cultura

Connessioni storiche

Marte prende il suo nome dal dio romano della guerra, Mars. Gli astronomi Babilonesi lo nominavano Nergal, la loro divinità del fuoco, della distruzione e della guerra, molto probabilmente proprio per la sua colorazione rossastra. Quando i Greci identificarono Nergala con il loro dio della guerra Ares, lo chiamarono Ἄρεως ἀστἡρ (Areos aster) o "Stella di Ares". A seguito della successiva identificazione presso gli antichi romani di Ares con Mars, la denominazione venne tradotta in stella Martis o semplicemente Mars. I greci lo chiamavano anche Πυρόεις (Pyroeis) o "infuocato".
Nella mitologia Hindu Marte era conosciuto come Mangala (मंगल ). In Sanscrito era noto come Angaraka dal nome del dio celibe della guerra che possedeva i segni dell'Ariete e dello Scorpione e insegnava le scienze occulte. Per gli antichi egiziani era Ḥr Dšr o "Horus il Rosso". Gli Ebrei lo chiamavano Ma'adim (םידאמ) o "colui che arrossisce"; da qui inoltre deriva il nome di uno dei maggiori canyon di Marte: la Ma'adim Vallis. Gli Arabi lo conoscono come al-Mirrikh, i Turchi come Merih e in Urdu e in Persiano è noto come Merikh (خیرم): sono evidenti le somiglianze della radice del termine ma l'etimologia della parola è sconosciuta. Gli Antichi Persiani lo chiamavano Bahram(مارهب ) in onore del dio della fede Zoroastriano. I Cinesi, Giapponesi, Coreani e Vietnamiti si riferiscono al pianeta come "Stella infuocata" (火 星 ), nome che deriva dalla mitologia cinese del ciclo dei Cinque Elementi.
Il simbolo del pianeta, derivante dal simbolo astrologico di Marte, è un cerchio con una freccia che punta in avanti. Simboleggia lo scudo e la lancia che il dio romano usava in battaglia. Lo stesso simbolo è usato in biologia per identificare il genere maschile e in alchimia per simbolizzare l'elemento ferro a causa del colore rossastro del suo ossido che corrisponde al colore del pianeta. Il suddetto simbolo inoltre occupa la posizione Unicode U+2642.

"Marziani" intelligenti

Una pubblicità del 1893 con riferimenti all'idea che Marte fosse abitato

La credenza, un tempo universalmente accettata, in base alla quale Marte fosse popolato da Marziani intelligenti, ha origine alla fine del XIX secolo a causa delle osservazioni telescopiche di Giovanni Schiaparelli di strutture reticolari e di ombre estese sulla superficie marziana, che egli definì "canali" e "mari" similmente per quanto avverrebbe riferendosi all'orografia terrestre. Tale terminologia fu proseguita nei libri di Percival Lowell. Le loro opere infatti descrivevano Marte ipotizzandolo come un pianeta morente la cui civiltà cercava, appunto con detti canali, di impedirne l'inaridimento.
In realtà le conformazioni orografiche osservate erano dovute ai limiti ottici dei telescopi usati da Terra, inadatti a osservare i precisi e reali dettagli della superficie.
Le supposizioni, che tuttavia erano elaborate in buona fede, continuarono ad essere alimentate da numerose altre osservazioni e dichiarazioni di personaggi eminenti, corroborando la cosiddetta "Febbre Marziana".
Nel 1899 Nikola Tesla, mentre si trovava impegnato nell'investigazione del rumore radio atmosferico nel suo laboratorio di Colorado Springs, captò segnali ripetitivi che in seguito affermò essere probabilmente comunicazioni radio provenienti da Marte. In un'intervista del 1901 Tesla affermò: "Fu solo in seguito che mi balenò nella mente l'idea che i disturbi da me captati potessero essere dovuti ad un controllo intelligente. Anche se non potevo decifrarne il significato, mi fu impossibile pensarli come puramente accidentali. Continua a crescere in me la sensazione di essere stato il primo a sentire il saluto di un pianeta ad un altro".
La tesi di Tesla venne avvalorata da Lord Kelvin che, mentre era in visita negli Stati Uniti nel 1902, venne sentito affermare che Tesla aveva captato segnali marziani diretti agli stessi Stati Uniti.
Tuttavia, Kelvin in seguito smentì quella dichiarazione poco prima di lasciare il paese. In un articolo del New York Times del 1901, Edward Charles Pickering, direttore del Harvard College Observatory, dichiarò di aver ricevuto un telegramma dal Lowell Observatory in Arizona che confermava i tentativi di Marte di entrare in contatto con la Terra.
Pickering in conseguenza di queste convinzioni propose di installare in Texas un sistema di specchi con l'intento di comunicare con i marziani.
Negli ultimi decenni, i progressi nell'esplorazione di Marte (culminati con il Mars Global Surveyor) non hanno rilevato alcun tipo di testimonianza di civiltà presenti o passate. Nonostante le mappature fotografiche, attualmente persistono alcune speculazioni pseudoscientifiche riguardo ai "canali" di Schiaparelli o al Volto su Marte.

Marte nella fantascienza

Copertina della prima edizione de La Guerra dei Mondi di H. Wells

La nascita di una produzione di narrativa fantascientifica riguardante Marte fu stimolata principalmente dal caratteristico colore rossastro e dalle prime ipotesi scientifiche che consideravano il pianteta non solo adatto alla vita, ma addirittura a specie intelligenti. A capo della vasta produzione spicca il romanzo La guerra dei mondi di H. G. Wells, pubblicato nel 1898, nel quale i Marziani abbandonano il loro pianeta morente per invadere la Terra. Negli Stati Uniti il 30 ottobre 1938 venne trasmesso in diretta un adattamento del romanzo in forma di una finta radiocronaca, in cui la voce di Orson Welles annunciava alla popolazione che i Marziani erano sbarcati sulla Terra; molte persone, credendo a queste parole, furono prese dal panico.
L'autore Jonathan Swift aveva fatto menzione delle lune marziane 150 anni prima della loro effettiva scoperta da parte di Asaph Hall, dando addirittura una descrizione piuttosto dettagliata delle loro orbite, nel 19° capitolo del romanzo I viaggi di Gulliver (1726).
Influenti sul tema della civiltà marziana furono anche il Ciclo di Barsoom di Edgar Rice Burroughs (pubblicato dal 1912), le poetiche Cronache marziane del 1950 di Ray Bradbury, nelle quali esploratori dalla Terra distruggono accidentalmente una civiltà marziana, e le diverse storie scritte da Robert Heinlein negli anni sessanta del Novecento.
Da ricordare inoltre la figura comica di Marvin il marziano che apparve per la prima volta in televisione nel 1948 come uno dei personaggi dei Looney Tunes della Warner Bros. Un altro riferimento lo si trova nella Trilogia Spaziale di Clive Staples Lewis, in particolare nel primo libro intitolato Lontano dal pianeta silenzioso del 1938. Tre uomini, Weston, Devine e Ransom compiono un viaggio interplanetario dalla Terra a Marte (chiamato Malacandra nel racconto); Ransom, il quale era stato portato con la forza da Weston e Devine sul pianeta rosso per essere da loro consegnato ai Sorns, riesce comunque a scappare al loro atterraggio, e così scopre la geologia, flora, fauna, e culture presenti su Malacandra e viene a conoscenza della relazione della Terra (chiamata Thulcandra, il pianeta silenzioso) con gli altri pianeti e forme di vita presenti nel sistema solare.
Dopo l'arrivo delle fotografie dei Mariner e Viking si svelò il vero aspetto del Pianeta Rosso: era infatti un mondo senza vita e senza i famosi canali e mari. Si sviluppò così una nuova concezione fantascientifica grazie anche alla Trilogia di Marte di Kim Stanley Robinson, che descriveva in maniera realistica delle colonie terrestri su Marte.
Un altro tema ricorrente, specialmente nella letteratura americana, è la lotta per l'indipendenza della colonia marziana dalla Terra. Questo infatti è l'elemento caratterizzante della trama di alcuni romanzi di Greg Bear e Kim Stanley Robinson, del film basato su una storia di Philip K. Dick e della serie televisiva Babylon 5. Inoltre anche diversi videogiochi sfruttarono questo tema, tra cui Red Faction e Zone of the Enders. Marte (e le sue lune) furono infine l'ambientazione della celebre serie di videogiochi Doom.

Giove

Un'immagine di Giove ottenuta nel 1990
(sonda Voyager 1 nel 1979 NASA)

Classificazione

Gigante gassoso

PARAMETRI ORBITALI
(epoca di riferimento: J2000.0)

Semiasse maggiore

778 412 027 km

5,203 363 01 UA

Perielio

740 742 598 km

4,951 558 43 UA

Afelio

816 081 455 km

5,455 167 59 UA

Circonferenza orbitale

4 888 000 000 km

32,6740 UA

Periodo orbitale

4 333,2867 giorni

(11,863 892 anni)

Periodo sinodico

398,88 giorni

(1,092 073 anni)

Velocità orbitale

12,446 km/s (min)

13,056 km/s (media)

13,712 km/s (max)

Inclinazione orbitale

1,30530°

Inclinazione rispetto all'equat. del Sole

6,09°

Eccentricità

0,048 392 66

Longitudine del nodo ascendente

100,55615°

Argom. del perielio

274,19770°

Satelliti

63

Anelli

DATI FISICI

Diametro equat.

142 984 km

Diametro polare

133 709 km

Schiacciamento

0,06487 ± 0,00015

Superficie

6,21796 × 1016

Volume

1,43128 × 1024

Massa

1,8986 × 1027 kg

Densità media

1,326 × 103 kg/m³

Accelerazione di gravità in superficie

23,12 m/s² (2,358 g)

Velocità di fuga

59 540 m/s

Periodo di rotazione

0,413 538 021 (9h 55min 29,685s)

Velocità di rotazione (all'equatore)

12 580 m/s

Inclinazione assiale

3,131°

A.R. polo nord

268,057° (17h 52m 14s)

Declinazione

64,496°

Temperatura superficiale

110 K (min)

152 K (media)

Pressione atmosferica

20–200 kPa

Albedo

0,522

DATI OSSERVATIVI

Magnitudine apparente
da Terra

−1,61(min)

−2,60(media)

−2,808(max)

Diametro apparente da Terra

29,8" (min)
44,0" (medio)
50,1" (max)

Giove (dal latino Iovem, accusativo di Iuppiter) è il quinto pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole, il più massiccio di tutto il sistema planetario: la sua massa corrisponde infatti a 2,468 volte la somma di quelle di tutti gli altri pianeti messi insieme. È classificato, al pari di Saturno, Urano e Nettuno, come gigante gassoso.
Giove ha una composizione simile a quella del Sole: infatti è costituito principalmente da idrogeno ed elio, con piccole quantità di altri composti, quali ammoniaca, metano ed acqua. Si ritiene che il pianeta possieda un nucleo solido, presumibilmente di natura rocciosa, costituito da carbonio e silicati di ferro, circondato da un mantello di idrogeno metallico e da una vasta copertura atmosferica, che generano su di esso delle altissime pressioni.
L'atmosfera esterna è caratterizzata da numerose bande e zone di tonalità variabili dal color crema al marrone, costellate da formazioni cicloniche ed anticicloniche, tra cui la Grande Macchia Rossa. La rapida rotazione del pianeta gli conferisce l'aspetto di uno sferoide oblato e genera un intenso campo magnetico, che dà origine ad un'estesa magnetosfera; inoltre, a causa del meccanismo di Kelvin-Helmholtz, Giove (come tutti gli altri giganti gassosi) emette una quantità di energia quasi pari a quella che riceve dal Sole.
A causa delle sue dimensioni e della composizione simile a quella solare, Giove è stato considerato per lungo tempo una "stella fallita": in realtà, solamente se avesse avuto l'opportunità di accrescere la propria massa sino a 75-80 volte quella attuale, il suo nucleo avrebbe ospitato le condizioni necessarie di temperatura e pressione per innescare le reazioni di fusione nucleare dell'idrogeno in elio, il che avrebbe reso il sistema solare un sistema stellare binario.
La grande forza di gravità di Giove contribuisce, assieme a quella del Sole, a plasmare le principali strutture del sistema solare, in quanto la sua attrazione bilancia le orbite degli altri pianeti ed il suo vasto pozzo gravitazionale "ripulisce" il sistema dai detriti vaganti che viaggiano nelle sue vicinanze, che altrimenti rischierebbero di andare ad impattare contro i pianeti più interni.
Il campo gravitazionale del gigante gassoso trattiene un numeroso stuolo di satelliti ed un sistema di evanescenti anelli.
Il pianeta, conosciuto sin dall'antichità, ha rivestito un ruolo preponderante nel credo religioso di numerose culture, tra cui i Babilonesi, i Greci e i Romani, che hanno identificato l'astro con il sovrano degli Dei.
Il simbolo astronomico del pianeta (♃) è una rappresentazione stilizzata del fulmine del Dio.

Osservazione

Giove appare ad occhio nudo come un astro biancastro molto brillante, a causa della sua elevata albedo. È il quarto oggetto più brillante nel cielo, dopo il Sole, la Luna e Venere; con quest'ultimo, quando risulta inosservabile, si spartisce il ruolo di "stella del mattino" o "stella della sera". La sua magnitudine apparente varia, a seconda della posizione durante il suo moto di rivoluzione, da −1,6 a −2,8, mentre il suo diametro apparente varia da 29,8 a 50,1 secondi d'arco.
Il periodo sinodico del pianeta è di 398,88 giorni, al termine dei quali il corpo celeste inizia una fase di moto retrogrado, in cui sembra spostarsi all'indietro nel cielo notturno, rispetto allo sfondo delle stelle "fisse", eseguendo una sorta di traiettoria sigmoide. Giove, nei 12 anni circa della propria rivoluzione, attraversa tutte le costellazioni dello zodiaco.
Il pianeta è interessante da un punto di vista osservativo in quanto già con piccoli strumenti è possibile rivelarne alcuni caratteristici dettagli superficiali. I periodi più propizi per osservare il pianeta corrispondono alle opposizioni, che si verificano ogni qual volta Giove transita al perielio; queste circostanze, in cui l'astro raggiunge le dimensioni apparenti massime, consentono all'osservatore amatoriale, munito delle adeguate attrezzature, di scorgere più facilmente gran parte delle caratteristiche del pianeta.

Giove osservato da un telescopio amatoriale. Si notano tre dei quattro satelliti medicei: a destra, Io; a sinistra, Europa (più interno) e Ganimede. Si noti anche la sua caratteristica più peculiare: la Grande Macchia Rossa.

Un binocolo 10x50 o un piccolo telescopio rifrattore consentono già di osservare attorno al pianeta quattro piccoli punti luminosi, disposti lungo il prolungamento dell'equatore del pianeta: si tratta dei satelliti medicei. Poiché essi orbitano abbastanza velocemente intorno al pianeta, è possibile notarne i movimenti già tra una notte e l'altra: il più interno, Io, arriva a compiere tra una notte e la successiva quasi un'orbitacompleta.
Un telescopio da 60 mm permette già di osservare le caratteristiche bande nuvolose e, qualora le condizioni atmosferiche siano perfette, anche la caratteristica più nota del pianeta, la Grande Macchia Rossa; essa però è maggiormente visibile con un telescopio di apertura 25 cm, che consente di osservare meglio le nubi e le formazioni più fini del pianeta. Il pianeta risulta osservabile non solo nel visibile, ma anche ad altre lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico, principalmente nell'infrarosso. L'osservazione a più lunghezze d'onda si rivela utile soprattutto nell'analisi della struttura e della composizione dell'atmosfera e nello studio delle componenti del sistema di Giove.

Storia delle osservazioni

La famosa congiunzione della Luna con Venere (in alto) e Giove del Dicembre 2008, soprannominata Smile.

Nell'antichità

Il pianeta è ben conosciuto sin dai primordi dell'umanità, data la sua grande luminosità che lo rende molto ben visibile ad occhio nudo nel cielo notturno. Una delle prime civiltà a studiare i moti di Giove, e più in generale di tutti i pianeti visibili ad occhio nudo ( Mercurio, Venere, Marte, Giove per l'appunto e Saturno), fu quella assiro-babilonese. Gli astronomi di corte dei re babilonesi riuscirono a determinare con precisione il periodo sinodico del pianeta; inoltre, si servirono del suo moto attraverso la sfera celeste per definire le dodici costellazioni dello zodiaco. Tuttavia, la scoperta negli archivi reali di Ninive di tavolette recanti precisi resoconti di osservazioni astronomiche e il frequente rinvenimento di parti di strumentazioni a probabile destinazione astronomica, come lenti di cristallo di rocca e tubi d'oro (datati al I millennio a.C.), indussero alcuni archeoastronomi ad ipotizzare che la civiltà assira fosse già in possesso di un "prototipo" di cannocchiale, con il quale si ritiene sia stato possibile osservare anche Giove.Il fisico G. A. Kryala, dell'Università dell'Arizona, ritiene che grazie a queste strumentazioni gli astronomi babilonesi siano riusciti, postulando che il pianeta orbitasse attorno al Sole secondo un'orbita circolare e anticipando così di diversi secoli la formulazione dell'ipotesi del sistema eliocentrico, a scoprire che Giove era il pianeta più grande tra i cinque allora conosciuti. Second Kryala, sebbene diverse tavolette cuneiformi fossero un segreto di Stato, molte informazioni probabilmente giunsero ai Greci.
È ben noto l'alto livello raggiunto dall'astronomia cinese nei primi secoli avanti Cristo. Gli astronomi imperiali cinesi riuscirono a ricavare in maniera precisa i periodi sinodici ed orbitali dei pianeti visibili ad occhio nudo; all'astronomo Shi Shen (IV secolo a.C.) è attribuita in particolare la prima misurazione del periodo orbitale di Giove, che egli quantificò in 12 anni. Nel 1980 lo storico cinese Xi Zezong ha annunciato che Gan De, astronomo contemporaneo di Shi Shen, sarebbe riuscito ad osservare almeno uno dei satelliti di Giove già nel 362 a.C. a occhio nudo, presumibilmente Ganimede, schermando la vista del pianeta con un albero o qualcosa di analogo.
In effetti i satelliti medicei hanno una luminosità apparente inferiore alla magnitudine 6 (il limite di visibilità ad occhio nudo), che li renderebbe teoricamente visibili ad occhio nudo, se non fosse per l'intensa luminosità del pianeta, che sovrasta quella dei satelliti.
Considerazioni recenti, mirate a valutare il potere risolutivo dell'occhio umano, sembrerebbero tuttavia indicare che la combinazione della ridotta distanza angolare tra Giove ed ognuno dei suoi satelliti e della luminosità del pianeta (anche nelle condizioni in cui questa sia minima) renderebbe impossibile per un uomo riuscire ad individuarne uno.

Dall'avvento del telescopio

La diatriba tra Galileo e Simon Marius

Simon Marius pubblicò nel 1614 il Mundus Iovialis, in cui asserisce di aver scoperto le quattro lune maggiori verso la fine del novembre 1609 (circa cinque settimane prima di Galileo) ma di avere iniziato a registrare le sue osservazioni solamente nel gennaio 1610, in contemporanea con Galileo.
Dal momento che Marius non pubblicò i risultati delle sue osservazioni sino a quando Galilei non rese noti i suoi, è impossibile attestare la veridicità dell'affermazione.

Tale affermazione lo portò ad un'accesa disputa con lo scienziato pisano, il quale accusò Marius, nella Prefazione de Il Saggiatore (1623), di aver copiato i suoi lavori, sostenendo che il Mundus Iovialis fosse un plagio del suo Sidereus Nuncius. Scrisse Galileo: «Io potrei di tali usurpatori nominar non pochi. [...] Io parlo di Simon Mario Guntzehusano, che fu quello che già in Padova [...] traportò in lingua latina l'uso del detto mio compasso, ed attribuendoselo lo fece ad un suo discepolo sotto suo nome stampare [...]. Questo istesso, quattro anni dopo la publicazione del mio Nunzio Sidereo, avvezzo a volersi ornar dell'altrui fatiche, non si è arrossito nel farsi autore delle cose da me ritrovate ed in quell'opera publicate; e stampando sotto titolo di Mundus Iovialis etc., ha temerariamente affermato, sé aver avanti di me osservati i pianeti Medicei, che si girano intorno a Giove.»
La storiografia moderna reputa plausibile che Marius abbia sì scoperto le lune di Giove indipendentemente da Galileo, ma almeno qualche giorno dopo l'italiano.
L'utilizzo e il potenziamento del cannocchiale, inventato nel 1608 dall'ottico olandese Hans Lippershey, permise a Galileo Galilei di scoprire, nel 1610, quattro dei 63 satelliti del pianeta: Io, Europa, Ganimede e Callisto; si trattava della prima osservazione dettagliata di un pianeta del sistema solare e dei relativi satelliti. Galileo battezzò gli astri appena individuati in un primo tempo Cosmica Sidera («stelle di Cosimo»), in onore del granduca Cosimo II, e successivamente Medicea Sidera («stelle medicee»), in onore dell'intera casata dei Medici; fu però Simon Marius, che si attribuì la paternità della scoperta dei satelliti (vedi box al lato), a conferire nel 1614 i nomi mitologici attualmente in uso a ciascuno di essi.

Replica di un carteggio autografo di Galileo sulla scoperta dei quattro satelliti medicei e delle loro orbite attorno a Giove. (NASA)

La scoperta dei satelliti medicei fu la dimostrazione definitiva del superamento della teoria geocentrica e fu una delle prime prove dirette della validità dell'ipotesi eliocentrica copernicana, sebbene anche il sistema ticonico riuscisse a spiegare altrettanto bene il sistema di lune di Giove senza rinunciare alla centralità della Terra. La scoperta delle lune gioviane, assieme alle altre esposte nel Sidereus Nuncius, valse a Galileo una grande fama, tanto che nel 1611 papa Paolo V lo accolse trionfalmente a Roma, e il principe Federico Cesi lo rese membro della Accademia dei Lincei.
Negli anni sessanta del XVII secolo l'astronomo Gian Domenico Cassini, utilizzando un nuovo telescopio, scoprì che la superficie di Giove era caratterizzata da bande e macchie colorate, e che il pianeta stesso ha la forma di uno sferoide oblato. L'astronomo riuscì poi a determinarne il periodo di rotazione, e nel 1690 scoprì che l'atmosfera è soggetta a una rotazione differenziale.
L'astronomo italiano è inoltre accreditato come lo scopritore, assieme, ma indipendentemente, a Robert Hooke, della Grande Macchia Rossa.
Sia Giovanni Alfonso Borelli sia lo stesso Cassini stesero da subito precise relazioni sul movimento dei quattro satelliti galileiani, riuscendo a calcolarne la posizione con grande accuratezza. Tuttavia nel trentennio 1670-1700, si osservò che, quando Giove si trova in un punto dell'orbita prossimo alla congiunzione col Sole, si registra nel transito dei satelliti un ritardo di circa 17 minuti rispetto alle previsioni.
L'astronomo danese Ole Rømer ne dedusse che la visione di Giove non fosse istantanea (conclusione che Cassini aveva precedentemente respinto), e che dunque la luce avesse una velocità finita (indicata con c); fu principalmente osservando le occultazioni da parte del pianeta del suo satellite più interno, Io, che il danese arrivò a formulare questa ipotesi e a intraprendere i primi calcoli del valore di c nel 1676.

Ottocento e Novecento

Dopo due secoli privi di significative scoperte, il farmacista Heinrich Schwabe disegnò la prima carta completa di Giove, comprendente anche la Grande Macchia Rossa, e la pubblicò nel 1831.
Le osservazioni della tempesta hanno permesso di registrare dei momenti in cui essa appariva più debole (come tra il 1665 e il 1708, nel 1883 ed all'inizio del XX secolo), ed altri in cui appariva rinforzata, tanto da risultare molto ben evidente all'osservazione telescopica (come nel 1878).

La formazione dell'Ovale BA da tre ovali biancastri precedenti. NASA

Nel 1892 Edward Emerson Barnard scoprì grazie al telescopio rifrattore da 910 mm dell'Osservatorio Lick la presenza attorno al pianeta di un quinto satellite. la luna appena scoperta fu in seguito ribattezzata Amaltea. In seguito sono stati scoperti altri otto satelliti durante il fly-by della sonda Voyager 1 nel 1979.
Nel 1932 Rupert Wildt identificò, analizzando lo spettro del pianeta, delle bande di assorbimento proprie dell'ammoniaca e del metano. Sei anni dopo furono osservate, a sud della Grande Macchia Rossa, tre tempeste anticicloniche che apparivano come dei particolari ovali biancastri. Per diversi decenni le tre tempeste sono rimaste delle entità distinte, non riuscendo mai a fondersi pur avvicinandosi periodicamente; tuttavia, nel 1998, due di questi ovali si sono fusi, assorbendo infine anche il terzo nel 2000 e dando origine a quella tempesta che oggi è nota come Ovale BA.
Nel 1955 Bernard Burke e Kenneth Franklin individuarono dei lampi radio provenienti da Giove alla frequenza di 22,2 MHz; si trattava della prima prova dell'esistenza della magnetosfera gioviana. La conferma giunse quattro anni dopo, quando Frank Drake ed Hein Hvatum scoprirono le emissioni radio decimetriche.
Nel periodo compreso tra il 16 e il 22 luglio 1994 oltre 20 frammenti provenienti dalla cometa Shoemaker-Levy 9 collisero con Giove in corrispondenza del suo emisfero australe; fu la prima osservazione diretta della collisione tra due oggetti del sistema solare. L'impatto fu molto importante in quanto permise di ottenere importanti dati sulla composizione dell'atmosfera gioviana.

Missioni spaziali

Sin dal 1973 numerose furono le sonde automatiche a visitare il pianeta gigante, sia come obiettivo di studio, sia come tappa intermedia, allo scopo di sfruttarne il grande effetto fionda gravitazionale per dirigersi nelle regioni più distanti del sistema solare. I viaggi in direzione di altri pianeti all'interno del sistema solare richiedono un grande dispendio energetico, che viene impiegato per provocare una netta variazione della velocità della sonda nota come delta-v (Δv). Il raggiungimento di Giove dalla Terra richiede un Δv di 9,2 km/s, molto simile ai 9,7 km/s di Δv necessari per raggiungere la low earth orbit.
L'effetto fionda gravitazionale consente di incrementare il Δv senza l'impiego di eccessivo combustibile, consentendo dunque un notevole risparmio energetico ed un significativo prolungamento della durata del volo.

Elenco delle missioni con sorvolo ravvicinato (fly-by)

Veicolo

Data del massimo avvicinamento

Distanza minima

Pioneer 10

3 dicembre 1973

~ 200 000 km

Pioneer 11

4 dicembre 1974

34 000 km

Voyager 1

5 marzo 1979

349 000 km

Voyager 2

9 luglio 1979

722 000 km

Ulysses

8 febbraio 1992

450 000 km

Ulysses

4 febbraio 2004

~ 240.000.000 km

Cassini

30 dicembre 2000

~ 10 000 000 km

New Horizons

28 febbraio 2007

2.304.535 Km

A partire dal 1973 diverse sonde hanno compiuto dei sorvoli ravvicinati (fly-by) del pianeta. La prima sonda fu la Pioneer 10, che ha eseguito un fly-by di Giove nel dicembre del 1973, seguita dalla Pioneer 11 esattamente un anno più tardi. Le due sonde permisero di ottenere le prime immagini ravvicinate dell'atmosfera, delle nubi gioviane e di alcuni suoi satelliti, nonché la prima precisa misura del suo campo magnetico; scoprirono inoltre che la quantità di radiazioni in prossimità del pianeta era di gran lunga superiore a quella attesa. Le traiettorie delle sonde furono utilizzate per raffinare la stima della massa del sistema gioviano, mentre l'occultazione delle sonde dietro il disco del pianeta migliorarono le stime del valore del diametro equatoriale e dello schiacciamento polare.

Un'immagine del pianeta ripresa dalla Pioneer 10 il 1º dicembre 1973 dalla distanza di 2557000 km NASA

Sei anni dopo fu la volta delle missioni Voyager (1 e 2), programmate per l'esplorazione del sistema solare esterno. Le due sonde hanno migliorato enormemente la comprensione di alcune dinamiche dei satelliti galileiani e dell'atmosfera di Giove, tra cui la conferma della natura anticiclonica della Grande Macchia Rossa e l'individuazione di lampi e formazioni temporalesche; le sonde permisero inoltre di scoprire gli anelli di Giove e otto satelliti naturali precedentemente sconosciuti. Le Voyager rintracciarono la presenza di un toroide di plasma ed atomi ionizzati in corrispondenza dell'orbita di Io, sulla cui superficie furono scoperti numerosi edifici vulcanici, alcuni dei quali nell'atto di eruttare. La successiva missione ad avvicinarsi al pianeta fu nel febbraio del 1992 la sonda solare Ulysses, che ha raggiunto una distanza minima dal pianeta di 450 000 km (6,3 raggi gioviani).
Il fly-by era necessario per raggiungere l'orbita polare attorno al Sole, ed è stato sfruttato per condurre studi sulla magnetosfera di Giove. Poiché la sonda non aveva telecamere a bordo, non è stata ripresa alcuna immagine. Nel febbraio 2004 la sonda si avvicinò nuovamente a Giove, anche se in tale circostanza la distanza fu molto maggiore, circa 240 milioni di chilometri.
Nel 2000 la sonda Cassini, durante la sua rotta verso Saturno, ha sorvolato Giove ed ha fornito alcune delle immagini più dettagliate mai scattate del pianeta.
L'ultima sonda, in ordine temporale, a raggiungere Giove è stata la New Horizons, che, diretta verso Plutone e gli oggetti della fascia di Kuiper, ha eseguito un fly-by del pianeta per sfruttarne la gravità; l'approccio più vicino è avvenuto il 28 febbraio 2007. I sensori della sonda all'uscita dall'orbita di Giove hanno misurato l'energia del plasma emesso dai vulcani di Io ed hanno studiato brevemente, ma in dettaglio, i quattro satelliti medicei, conducendo anche delle indagini a distanza dei satelliti più esterni Imalia ed Elara.

La missione Galileo

Rappresentazione artistica della NASA che mostra la sonda Galileo nel sistema di Giove.

Ad oggi l'unica sonda progettata appositamente per lo studio del pianeta è stata la Galileo, che entrò in orbita attorno a Giove il 7 dicembre del 1995 e vi permase per oltre 7 anni, compiendo sorvoli ravvicinati di tutti i satelliti galileiani e di Amaltea. Nel 1994, mentre giungeva verso il pianeta gigante, la sonda ha assistito all'impatto della cometa Shoemaker-Levy 9, riprendendo diverse immagini dell'evento.
Nel luglio del 1995 è stata sganciata dalla sonda madre un piccolo modulo-sonda, che è entrato nell'atmosfera del pianeta il 7 dicembre; paracadutandosi per 159 km attraverso l'atmosfera il modulo ha raccolto dati per 75 minuti, prima di essere distrutto dalle alte pressioni e temperature dell'atmosfera inferiore (circa 28 atmosfere – ~2,8 × 10 6 Pa – e 185°C – 458 K –).
La stessa sorte è toccata alla sonda madre quando, il 21 settembre 2003, è stata deliberatamente spinta verso il pianeta a una velocità di oltre 50 km/s, al fine di evitare qualsiasi possibilità che in futuro essa potesse collidere con il satellite Europa ed eventualmente contaminarlo.

Missioni future

La NASA ha in progetto una sonda per lo studio di Giove da un'orbita polare; battezzata Juno, il suo lancio è previsto per il 2011.
La possibile presenza di un oceano di acqua liquida sui satelliti Europa, Ganimede e Callisto ha portato ad un crescente interesse per uno studio ravvicinato dei satelliti ghiacciati del sistema solare esterno.
L'ESA ha studiato una missione per lo studio di Europa denominata Jovian Europa Orbiter (JEO); il progetto della missione è stato però implementato da quello della Europa Jupiter System Mission (EJSM), frutto della collaborazione con la NASA e studiato per l'esplorazione di Giove e dei satelliti, il cui lancio è previsto attorno al 2020. La EJSM è costituita da due unità, la Jupiter Europa Orbiter, gestita e sviluppata dalla NASA, e la Jupiter Ganymede Orbiter, gestita dall'ESA.

Parametri orbitali e rotazione

La rotazione di Giove; da notare il transito di Io sulla superficie del pianeta (10 febbraio 2009)

Giove orbita ad una distanza media dal Sole di 778,33 milioni di km (5,202 UA) e completa la sua rivoluzione attorno alla stella ogni 11,86 anni; questo periodo corrisponde esattamente ai due quinti del periodo orbitale di Saturno, con cui si trova dunque in una risonanza di 5:2. L'orbita di Giove è inclinata di 1,31° rispetto al piano dell'eclittica; per via della sua eccentricità pari a 0,048, la distanza tra il pianeta e il Sole varia di circa 75 milioni di km tra i due apsidi, il perielio (740 742 598 km) e l'afelio (816 081 455 km).
La velocità orbitale media di Giove è di 13 056 m/s (47 001 km/h), mentre la circonferenza orbitale misura complessivamente 4.774.000.000 km.
L'inclinazione dell'asse di rotazione è relativamente piccola: solamente 3,13°, e precede ogni 12 000 anni; di conseguenza, il pianeta non sperimenta significative variazioni stagionali, contrariamente a quanto accade sulla Terra e su Marte. Poiché Giove non è un corpo solido, la sua atmosfera superiore è soggetta ad una rotazione differenziale: infatti, la rotazione delle regioni polari del pianeta è più lunga di circa 5 minuti rispetto a quella all'equatore.
Sono stati adottati tre sistemi di riferimento per monitorare la rotazione delle strutture atmosferiche permanenti. Il sistema I si applica alle latitudini comprese tra 10° N e 10° S; il suo periodo di rotazione è il più breve del pianeta, pari a 9h 50m 30,0s. Il sistema II si applica a tutte le latitudini a nord e a sud di quelle del sistema I; il suo periodo è pari a 9h 55m 40,6s. Il sistema III fu originariamente definito tramite osservazioni radio e corrisponde alla rotazione della magnetosfera del pianeta; la sua durata è presa come il periodo di rotazione "ufficiale" del pianeta (9 h 55 min 29,685 s); Giove quindi presenta la rotazione più rapida di tutti i pianeti del sistema solare.
L'alta velocità di rotazione è all'origine di un marcato rigonfiamento equatoriale, facilmente visibile anche tramite un telescopio amatoriale; questo rigonfiamento è causato dall'alta accelerazione centripeta all'equatore, pari a circa 1,67 m/s², che, combinata con l'accelerazione di gravità media del pianeta (24,79 m/s²), dà un'accelerazione risultante pari a 23,12 m/s²: di conseguenza, un ipotetico oggetto posto all'equatore del pianeta peserebbe meno rispetto ad un corpo di identica massa posto alle medie latitudini. Il pianeta ha dunque l'aspetto di uno sferoide oblato, il cui diametro equatoriale è maggiore rispetto al diametro polare: il diametro misurato all'equatore supera infatti di ben 9 275 km il diametro misurato ai poli.

Formazione

Dopo la formazione del Sole, avvenuta circa 4,6 miliardi di anni fa, il materiale residuato dal processo, ricco in polveri metalliche, si è disposto in un disco circumstellare da cui hanno avuto origine dapprima i planetesimi, quindi, per aggregazione di questi ultimi, i protopianeti.

Giove in formazione all'interno della nebulosa solare.


La formazione di Giove ha avuto inizio a partire dalla coalescenza di planetesimi di natura ghiacciata poco al di là della cosiddetta frost line, una linea oltre la quale si addensarono i planetesimi costituiti in prevalenza da materiale a basso punto di fusione; la frost line ha agito da barriera, provocando un rapido accumulo di materia a circa 5 UA dal Sole. L'embrione planetario così formato, di massa pari ad almeno 10 masse terrestri (M), ha iniziato ad accrescere materia gassosa a partire dall'idrogeno e dall'elio avanzati dalla formazione del Sole e confinati nelle regioni periferiche del sistema dal vento della stella neoformata.
Il tasso di accrescimento dei planetesimi, inizialmente più intenso di quello dei gas, proseguì sino a quando il numero di planetesimi nella fascia orbitale del proto-Giove non andò incontro a una netta diminuzione; a questo punto il tasso di accrescimento dei planetesimi e quello dei gas dapprima raggiunsero valori simili, quindi quest'ultimo iniziò a predominare sul primo, favorito dalla rapida contrazione dell'involucro gassoso in accrescimento e dalla rapida espansione del confine esterno del sistema, proporzionale all'incremento della massa dal pianeta.
Il proto-Giove cresce a ritmo serrato sottraendo idrogeno dalla nebulosa solare e raggiungendo in circa mille anni le 150 M e, dopo qualche migliaio di anni, le definitive 318 M.
Il processo di accrescimento del pianeta è stato mediato dalla formazione di un disco circumplanetario all'interno del disco circumsolare; terminato il processo di accrescimento per esaurimento dei materiali volatili, ormai andati a costituire il pianeta, i materiali residui, in prevalenza rocciosi, sono andati a costituire il sistema di satelliti del pianeta, che si è infoltito a seguito della cattura, da parte della grande forza di gravità di Giove, di numerosi altri corpi minori.
Conclusa la sua formazione, il pianeta ha subito un processo di migrazione orbitale: il pianeta infatti si sarebbe formato a circa 5,65 UA, circa 0,45 UA (70 milioni di chilometri) più in là rispetto ad oggi, e nei 100.000 anni successivi, a causa della perdita del momento angolare dovuta all'attrito con il debole disco di polveri residuato dalla formazione della stella e dei pianeti, sarebbe man mano scivolato verso l'attuale orbita, stabilizzandosi ed entrando in risonanza 1:2 con Saturno.
Durante questa fase Giove avrebbe catturato i suoi asteroidi troiani, originariamente oggetti della fascia principale o della fascia di Kuiper destabilizzati dalle loro orbite originarie e vincolati in corrispondenza dei punti lagrangiani L4 ed L5.

Caratteristiche chimico-fisiche

Composizione

Composizione Atmosferica

Idrogeno molecolare (H2)

89,8 ± 2,0%

Elio (He)

10,2 ± 2,0%

Metano (CH4)

~0,3%

Ammoniaca (NH3)

~0,026%

Deuteruro di idrogeno (HD)

~0,003%

Etano (C2H6)

0,0006%

Acqua (H2O)

0,0004%

L'atmosfera superiore di Giove è composta in volume da un 88-92% di idrogeno molecolare e da un 8-12% di elio. Queste percentuali cambiano se si tiene in considerazione la proporzione delle masse dei singoli elementi e composti, dal momento che l'atomo di elio è circa quattro volte più massiccio dell'atomo di idrogeno; l'atmosfera gioviana è quindi costituita da un 75% in massa di idrogeno e da un 24% di elio, mentre il restante 1% è costituito da altri elementi e composti presenti in quantità molto più esigue.
La composizione varia leggermente man mano che si procede verso le regioni interne del pianeta, date le alte densità in gioco; alla base dell'atmosfera si ha quindi un 71% in massa di idrogeno, un 24% di elio e il restante 5% di elementi più pesanti e composti: vapore acqueo, ammoniaca, composti del silicio, carbonio e idrocarburi (soprattutto metano ed etano), acido solfidrico, neon, ossigeno, fosforo e zolfo.
Nelle regioni più esterne dell'atmosfera sono inoltre presenti dei consistenti strati di cristalli di ammoniaca solida. Le proporzioni atmosferiche di idrogeno ed elio sono molto vicine a quelle riscontrate nel Sole e teoricamente predette per la nebulosa solare primordiale; tuttavia le abbondanze dell'ossigeno, dell'azoto, dello zolfo e dei gas nobili sono superiori di un fattore tre rispetto ai valori misurati nel Sole; invece la quantità di neon nell'alta atmosfera è pari in massa solamente a 20 parti per milione, circa un decimo rispetto alla sua quantità nella stella.
Anche la quantità di elio appare leggermente inferiore, presumibilmente a causa di fenomeni meteorologici (precipitazioni) che interessano l'atmosfera gioviana. Le quantità dei gas nobili di peso atomico maggiore (argon, kripton, xeno, radon) sono circa due o tre volte quelle della nostra stella.


Massa e dimensioni

Giove possiede il maggior volume per una massa fredda; tuttavia i dati teorici indicano che se il pianeta fosse più massiccio avrebbe dimensioni minori. Infatti, a basse densità della materia come quelle del pianeta, l'oggetto è manenuto tale da forze di natura elettromagnetica: gli atomi interagiscono tra loro formando dei legami chimici. Se la massa è piuttosto grande, come quella di Giove, la gravità al centro del corpo è talmente elevata che la materia è ionizzata: gli elettroni degli orbitali sono strappati all'attrazione dei loro nuclei e sono liberi di muoversi nello spazio, rendendo impossibile la formazione di legami.
Pertanto, l'incremento di gravità dovuto all'aumento di massa non è più esattamente controbilanciato e il pianeta subisce una contrazione. Un ulteriore aumento di massa provoca la degenerazione degli elettroni, costretti a occupare il livello quantico ad energia più bassa disponibile. Gli elettroni obbediscono al principio di esclusione di Pauli; di conseguenza sono di norma obbligati a occupare una banda piuttosto vasta di livelli a bassa energia. In questa circostanza, quindi, le strutture atomiche sono alterate dalla crescente gravità, che costringere tale banda ad allargarsi, sicché la sola pressione degli elettroni degeneri manterrebbe in equilibrio il nucleo contro il collasso gravitazionale cui sarebbe naturalmente soggetto.
Giove è il pianeta più massiccio del sistema solare, 2,468 volte più massiccio di tutti gli altri pianeti messi insieme; la sua massa è tale che il baricentro del sistema Sole-Giove cade esternamente alla stella, precisamente a 47.500 km (0,068 R ) dalla sua superficie. Il valore della massa gioviana (indicata con M ) è utilizzato come raffronto per le masse degli altri pianeti gassosi ed in particolare dei pianeti extrasolari.
In raffronto alla Terra, Giove è 317,938 volte più pesante, ha un volume 1 319 volte superiore ma una densità più bassa, appena superiore a quella dell'acqua: 1,319 × 10³ kg/m³ contro i 5,5153 × 10³ kg/m³ della Terra. Il diametro è 11,2008 volte maggiore di quello terrestre.

Raffronto tra le dimensioni di Giove (in un'immagine ripresa dalla sonda Cassini) e della Terra. NASA

Giove si comprime di circa 2 cm all'anno; probabilmente alla base di questo fenomeno sta il meccanismo di Kelvin-Helmholtz: il pianeta compensa, comprimendosi in maniera adiabatica, la dispersione nello spazio del calore endogeno. Questa compressione riscalda il nucleo, dando luogo ad un intenso calore interno che fa sì che il pianeta irradi nello spazio una quantità di energia quasi uguale a quella ricevuta per insolazione. Per queste ragioni, si ritiene che, appena formato, il pianeta dovesse essere più caldo e più grande di circa il doppio rispetto ad ora.
Giove ha il maggiore volume possibile per una massa fredda. Tuttavia, i modelli teorici indicano, contrariamente a quanto intuibile, che se Giove fosse più massiccio avrebbe un diametro inferiore a quello che possiede attualmente (vedi box al lato). Questo comportamento varrebbe fino a masse comprese tra 10 e 50 volte la massa di Giove; oltre questo limite, infatti, ulteriori aumenti di massa determinerebbero aumenti effettivi di volume e causerebbero il raggiungimento di temperature, nel nucleo, tali da innescare la fusione del litio e del deuterio: si forma così una nana bruna. Qualora l'oggetto raggiungesse una massa pari a circa 75-80 volte quella di Giove si raggiungerebbe la massa critica per l'innesco di reazioni termonucleari di fusione dell'idrogeno in elio, che porterebbe alla formazione di una stella, nella fattispecie una nana rossa.
Anche se Giove dovrebbe essere circa 75 volte più massiccio per essere una stella, il diametro della più piccola stella mai scoperta, AB Doradus C, è solamente il 40% più grande rispetto al diametro del pianeta.

Diagramma che illustra la struttura interna di Giove.

Struttura interna

La struttura interna del pianeta è oggetto di studi da parte degli astrofisici e dei planetologi; si ritiene che il pianeta sia costituito da più strati, ciascuno con caratteristiche chimico-fisiche ben precise. Partendo dall'interno verso l'esterno si incontrano, in sequenza: un nucleo, un mantello di idrogeno metallico liquido, uno strato di idrogeno molecolare liquido, elio ed altri elementi, ed una turbolenta atmosfera.
Secondo i modelli astrofisici più moderni e ormai accettati da tutta la comunità scientifica, Giove non possiede una crosta solida; il gas atmosferico diventa sempre più denso procedendo verso l'interno e gradualmente si converte in liquido, al quale si aggiunge una piccola percentuale di elio, ammoniaca, metano, zolfo, acido solfidrico ed altri composti in percentuale minore. La temperatura e la pressione all'interno di Giove aumentano costantemente man mano che si procede verso il nucleo.
Al nucleo del pianeta è spesso attribuita una natura rocciosa, ma la sua composizione dettagliata, così come le proprietà dei materiali che lo costituiscono e le temperature e le pressioni cui sono soggetti, e persino la sua stessa esistenza, sono ancora in gran parte oggetto di speculazione.
Secondo i modelli, il nucleo, con una massa stimata in 14-18 M sarebbe costituito in prevalenza da carbonio e silicati, con temperature stimate sui 36 000 K e pressioni dell'ordine dei 4500 gigapascal (GPa).
La regione nucleare è circondata da un denso mantello di idrogeno liquido metallico, che si estende sino al 78% (circa i 2/3) del raggio del pianeta ed è sottoposto a temperature dell'ordine dei 10.000 K e pressioni dell'ordine dei 200 GPa. Al di sopra di esso si trova un cospicuo strato di idrogeno liquido e gassoso, che si estende sino a 1000 km dalla superficie e si fonde con le parti più interne dell'atmosfera del pianeta.

Atmosfera

L'atmosfera di Giove è la più estesa atmosfera planetaria del sistema solare; manca di un netto confine inferiore, ma gradualmente transisce negli strati interni del pianeta.
Dal più basso al più alto, gli stati dell'atmosfera sono: troposfera, stratosfera, termosfera ed esosfera; ogni strato è caratterizzato da un gradiente di temperatura specifico.

Lo strato più basso, la troposfera, presenta un sistema complicato di nubi e foschie, con stratificazioni di ammoniaca, idrosolfuro di ammonio ed acqua.

Immagine di Giove ripresa dalla sonda Cassini; sono indicate le principali bande, la Zona equatoriale e la Grande Macchia Rossa.

Nubi e bandeggio atmosferico

Giove è perennemente coperto da nubi di cristalli di ammoniaca e idrosolfuro di ammonio. Collocati nella tropopausa, i sistemi nuvolosi sono organizzati in fasce orizzontali lungo le diverse latitudini. Si suddividono in zone, di tonalità più chiara, e bande, più scure; la loro interazione dà luogo a violente tempeste, i cui venti raggiungono, come nel caso delle correnti a getto delle zone, velocità superiori ai 100-120 m/s (360-400 km/h). Le osservazioni del pianeta hanno mostrato che le zone variano nel tempo in spessore, colore e attività, ma mantengono comunque una certa stabilità, in virtù della quale gli astronomi le considerano delle strutture permanenti e hanno deciso di assegnare loro una nomenclatura.
La copertura nuvolosa è spessa circa 50 km e consiste almeno di due strati di nubi: uno strato inferiore piuttosto denso ed una regione superiore più rarefatta. È stata ipotizzata la presenza di un sottile velo d'acqua al di sotto dell'ammoniaca, come dimostrano i fulmini registrati dalla sonda Galileo, di intensità anche decine di migliaia di volte superiori a quelle dei fulmini terrestri: l'acqua, essendo una molecola polare, è infatti capace di assumere una parziale carica in grado di creare la differenza di potenziale necessaria per generare la scarica. Le nubi d'acqua, grazie all'apporto del calore interno del pianeta, possono quindi formare dei complessi temporaleschi simili a quelli terrestri.
La caratteristica colorazione marrone-arancio delle nubi gioviane è causata da composti chimici complessi, noti come cromofori, che emettono luce in questo colore quando sono esposti alla radiazione ultravioletta solare. L'esatta composizione di queste sostanze rimane incerta, ma si ritiene che vi siano discrete quantità di fosforo, zolfo ed idrocarburi complessi; questi composti colorati si mescolano con lo strato di nubi più profondo e più caldo. Il caratteristico bandeggio si forma a causa della convezione atmosferica; nelle zone l'emergere delle celle convettive dell'atmosfera inferiore provoca la cristallizzazione dell'ammoniaca nella sommità dell'atmosfera, che quindi cela alla vista gli strati più bassi; nelle bande invece il movimento convettivo è discendente ed avviene in regioni a temperatura più alte.
Giove, avendo una bassa inclinazione assiale, espone i propri poli a una radiazione solare inferiore, seppur di poco, rispetto a quella delle zone equatoriali; la convezione all'interno del pianeta trasporta tuttavia più energia ai poli, bilanciando le temperature degli strati nuvolosi.

La Grande Macchia Rossa e altre tempeste

La caratteristica sicuramente più nota di Giove pianeta è la Grande Macchia Rossa (GRS, dall'inglese Great Red Spot), una vasta tempesta anticiclonica posta a 22° sotto l'equatore del pianeta. La formazione presenta un aspetto ovale e ruota in senso antiorario con un periodo di circa 6 giorni. Le sue dimensioni, variabili, sono 24-40 000 km × 12-14 000 km: è quindi abbastanza grande da essere visibile già con telescopi amatoriali. Le indagini infrarosse hanno mostrato che la tempesta è più fredda rispetto alle zone circostanti, segno che si trova più in alto rispetto ad esse: lo strato più alto di nubi della GRS svetta di circa 8 km sugli strati circostanti. Anche prima che le sonde Voyager dimostrassero che si trattasse di una tempesta, vi era una forte evidenza che la Macchia non fosse associata ad altre formazioni più profonde dell'atmosfera planetaria, come d'altronde appariva dalla sua rotazione lungo il pianeta tutto sommato indipendente dal resto dell'atmosfera. Un'immagine a falsi colori ripresa nell'infrarosso dalla sonda New Horizons che mostra una porzione dell'atmosfera gioviana prospiciente la Grande Macchia Rossa. NASA

Alcune tempeste riprese dal telescopio spaziale Hubble: la Grande Macchia Rossa, l'Ovale BA (in basso a sinistra) e un'altra macchia rossastra di recente formazione; al di sotto di esse, due ovali biancastri simili a quelli da cui ebbe origine l'Ovale BA. NASA

La Macchia varia notevolmente di colore gradazione, passando dal rosso mattone al salmone pastello, e talvolta anche al bianco; non è ancora noto cosa determini la colorazione rossa della macchia. Alcune teorie, supportate dai dati sperimentali, suggeriscono che possa essere causata dai medesimi cromofori, in quantità differenti, presenti nel resto dell'atmosfera gioviana. Non si sa se i cambiamenti che la Macchia manifesta siano il risultato di normali fluttuazioni periodiche, né tantomeno per quanto ancora essa durerà; i modelli fisico-matematici suggeriscono però che la tempesta sia stabile e quindi possa costituire, al contrario di altre, una formazione permanente del pianeta. Tempeste simili a questa, anche se temporanee, non sono infrequenti nelle atmosfere dei pianeti giganti gassosi: per esempio, Nettuno ha posseduto per un certo tempo una formazione affine, e Saturno mostra periodicamente per brevi periodi delle Grandi Macchie Bianche. Anche Giove presenta degli ovali bianchi (detti WOS, acronimo di White Oval Spots, Macchie Ovali Bianche), assieme ad altri marroni; si tratta tuttavia di tempeste minori transitorie, per questo prive di una denominazione. Gli ovali bianchi sono in genere composti da nubi relativamente fredde poste nell'alta atmosfera; gli ovali marroni sono invece più caldi, e si trovano ad altezze medie. La durata di queste tempeste si aggira indifferentemente tra poche ore o molti anni.
Nel 2000, nell'emisfero australe del pianeta, si è originata dalla fusione di tre ovali bianchi una formazione simile alla GRS, ma di dimensioni più piccole. Denominata tecnicamente Ovale BA, la formazione ha subito un'intensificazione dell'attività e un cambiamento di colore dal bianco al rosso, che le è valso il soprannome di Red Spot Junior.

Rappresentazione schematica della magnetosfera di Giove. In azzurro sono indicate le linee di forza del campo magnetico; in rosso il toroide di Io.

Campo magnetico e magnetosfera

Le correnti elettriche all'interno del mantello di idrogeno metallico generano un campo magnetico dipolare, inclinato di 10° rispetto all'asse di rotazione del pianeta. Il campo raggiunge un'intensità variabile tra 0,42 millitesla - mT - all'equatore e 1,3 mT ai poli, che lo rende il più intenso campo magnetico del sistema solare (con l'eccezione di quello nelle macchie solari), 14 volte superiore al campo geomagnetico. Il campo magnetico di Giove preserva la sua atmosfera dalle interazioni col vento solare deflettendolo e creando una regione appiattita, la magnetosfera, costituita da un plasma di composizione molto differente da quello del vento solare. La magnetosfera gioviana è la più grande e potente fra tutte le magnetosfere dei pianeti del sistema solare, nonché la struttura più grande del sistema non appartenente al Sole: si estende nel sistema solare esterno per molte volte il raggio di Giove (R ) e raggiunge un'ampiezza massima che può superare l'orbita di Saturno. La magnetosfera di Giove è convenzionalmente divisa in tre parti: la magnetosfera interna, intermedia ed esterna. La magnetosfera interna è situata ad una distanza inferiore a 10 raggi gioviani (R ) dal pianeta; il campo magnetico al suo interno rimane sostanzialmente dipolare, poiché ogni contributo proveniente dalle correnti che fluiscono dal plasma magnetosferico equatoriale risulta piccolo. Nelle regioni intermedie (tra 10 e 40 R ) ed esterne (oltre 40 R ) il campo magnetico non è più dipolare e risulta seriamente disturbato dalle sue interazioni col plasma solare.

Immagine ultravioletta di un'aurora gioviana ripresa dal telescopio Hubble; i tre punti brillanti sono generati, rispettivamente, dalle interazioni di Io, Ganimede ed Europa; la fascia di radiazione più intensa è detta ovale aurorale principale, al cui interno si trovano le cosiddette emissioni polari. NASA

Le eruzioni che avvengono sul satellite galileiano Io contribuiscono ad alimentare la magnetosfera gioviana generando un importante toroide di plasma, che carica e rafforza il campo magnetico formando la struttura denominata magnetodisk .Le forti correnti che circolano nella regione interna della magnetosfera danno origine ad intense fasce di radiazione, simili alle fasce di van Allen terrestri, ma migliaia di volte più potenti; queste forze generano delle aurore perenni attorno ai poli del pianeta ed intense emissioni radio.
L'interazione delle particelle energetiche con la superficie delle lune galileiane maggiori influenza notevolmente le loro proprietà chimiche e fisiche, ed entrambi influenzano e sono influenzati dal particolare moto del sottile sistema di anelli del pianeta.
Ad una distanza media di 75 RJ (compresa tra circa 45 e 100 RJ a seconda del periodo del ciclo solare) dalla sommità delle nubi del pianeta è presente una lacuna tra il plasma del vento solare e il plasma magnetosferico, che prende il nome di magnetopausa. Al di là di essa, ad una distanza media di 84 RJ dal pianeta, si trova il bow shock, il punto in cui il flusso del vento viene deflesso dal campo magnetico.

Immagine nel visibile del pianeta sovrapposta ai dati ottenuti dalle osservazioni radio; da notare l'area toroidale che circonda l'equatore del pianeta.

Emissione radio magnetosferica

Le correnti elettriche delle fasce di radiazione generano delle emissioni radio di frequenza variabile tra 0,6 e 30 MHz, che rendono Giove un'importante radiosorgente. Le prime analisi, condotte da Burke e Franklin, rivelarono che l'emissione è caratterizzata da flash intorno ai 22,2 MHz e che il loro periodo coincideva con il periodo di rotazione del pianeta, la cui durata fu quindi determinata con maggiore accuratezza. Essi riconobbero inizialmente due tipologie di emissione: i lampi lunghi (long o L-bursts), della durata di alcuni secondi, e i lampi corti (short o S-bursts), che durano poco meno di un centesimo di secondo.
Sono state in seguito scoperte altre tre forme di segnale radio trasmesse dal pianeta:
• Esplosioni radio decametriche (con lunghezze d'onda di decine di metri), che variano con la rotazione del pianeta e sono influenzate dalle interazioni tra Io e la magnetosfera gioviana.
• Emissioni radio decimetriche (con lunghezze d'onda di alcune decine di centimetri), la cui origine è stata imputata alla radiazione di ciclotrone emessa dagli elettroni accelerati dal campo magnetico in un'area toroidale che ne circonda l'equatore.
• Irraggiamento termico prodotto dal calore dell'atmosfera del pianeta.
La forte modulazione periodica dell'emissione radio e particellare, che corrisponde al periodo di rotazione del pianeta, rende Giove affine ad una pulsar.
È bene comunque considerare che l'emissione radio del pianeta dipende fortemente dalla pressione del vento solare e, quindi, dall'attività solare stessa.

Anelli

Giove possiede un debole sistema di anelli planetari, il terzo ad esser stato scoperto nel sistema solare, dopo quello di Saturno e quello di Urano. Fu osservato per la prima volta nel 1979 dalla sonda Voyager 1, ma fu analizzato più approfonditamente negli anni novanta dalla sonda Galileo e, a seguire, dal telescopio spaziale Hubble e dai più grandi telescopi di Terra.
Il sistema di anelli consiste principalmente di polveri, (Amaltea) e Tebe (anello Gossamer di Tebe) presumibilmente silicati. È suddiviso in quattro parti principali: un denso toro di particelle noto come anello di alone; una fascia relativamente brillante, ma eccezionalmente sottile nota come anello principale; due deboli fasce più esterne, detti anelli Gossamer (letteralmente garza), che prendono il nome dai satelliti il cui materiale superficiale ha dato origine a questi anelli: Amaltea . L'anello principale e l'anello di alone sono costituiti da polveri originarie dei satelliti Metis e Adrastea ed espulse nello spazio in seguito a violenti impatti meteorici.
Le immagini ottenute nel febbraio e nel marzo 2007 dalla missione New Horizons hanno mostrato inoltre che l'anello principale possiede una ricca struttura molto fine.
All'osservazione nel visibile e nell'infrarosso vicino gli anelli hanno un colore tendente al rosso, eccezion fatta per l'anello di alone, che appare di un colore neutro o comunque tendente al blu. Le dimensioni delle polveri che compongono il sistema sono variabili, ma è stata riscontrata una netta prevalenza di polveri di raggio pari a circa 15μm in tutti gli anelli tranne in quello di alone, probabilmente dominato da polveri di dimensioni nanometriche. La massa totale del sistema di anelli è scarsamente conosciuta, ma è probabilmente compresa tra 1011 e 1016 kg. L'età del sistema è sconosciuta, ma si ritiene che esista sin dalla formazione del pianeta madre.

Satelliti naturali

Giove è circondato da una nutrita schiera di satelliti naturali, i cui membri attualmente identificati sono 63, che lo rendono il pianeta con il più grande corteo di satelliti con orbite ragionevolmente sicure del sistema solare.
Otto di questi sono definiti satelliti regolari e possiedono orbite prograde (ovvero, che orbitano nello stesso senso della rotazione di Giove), quasi circolari e poco inclinate rispetto al piano equatoriale del pianeta. La classe è suddivisa in due gruppi:
• Gruppo di Amaltea o interno, che costituisce il gruppo di satelliti più vicino al pianeta; ne fanno parte Metis, Adrastea, Amaltea e Tebe, che sono la sorgente delle polveri che vanno a formare il sistema di anelli del pianeta.
• Gruppo principale (Satelliti medicei o galileiani: Io, Europa, Ganimede e Callisto), gli unici a presentare, in virtù della loro massa, una forma sferoidale.
Le restanti 54–55 lune sono annoverate tra i satelliti irregolari, le cui orbite, sia prograde sia retrograde (che orbitano in senso opposto rispetto al senso di rotazione di Giove), sono poste a una maggiore distanza dal pianeta madre e presentano alti valori di inclinazione ed eccentricità orbitale. Questi satelliti sono spesso considerati più che altro degli asteroidi (cui spesso assomigliano per dimensioni e composizione) catturati dalla grande gravità del gigante gassoso e frammentati a seguito di collisioni; di questi, tredici, scoperti tutti abbastanza recentemente, non hanno ancora ricevuto un nome, mentre altri quattordici attendono che la loro orbita sia precisamente determinata.
L'identificazione dei gruppi (o famiglie) satellitari è sperimentale; si riconoscono due principali categorie, che differiscono per il senso in cui orbita il satellite: i satelliti progradi e quelli retrogradi; queste due categorie a loro volta assommano le diverse famiglie.
• Satelliti progradi:
• Gruppo di Imalia.
• Satelliti retrogradi:
• Gruppo di Carme.
• Gruppo di Ananke.
• Gruppo di Pasifae.
Non tutti i satelliti appartengono ad una famiglia; esulano infatti da questo schema Temisto, Carpo, S/2003 J12 e S/2003 J2.
Il numero preciso di satelliti non sarà mai quantificato esattamente, perché i frammenti ghiacciati che compongono i suoi anelli possono tecnicamente essere considerati tali; inoltre, a tutt'oggi, l'Unione Astronomica Internazionale non ha voluto porre con precisione una linea arbitraria di distinzione tra satelliti minori e grandi frammenti ghiacciati.
I nomi dei satelliti di Giove sono ispirati a quelli di amanti o figlie del dio romano Giove, o del suo equivalente greco, Zeus. I quattro satelliti galileiani: Io, Europa, Ganimede, Callisto.

Un mosaico di fotografie degli anelli di Giove scattate dalla Galileo mentre si trovava nel cono d'ombra del pianeta.

Interazioni col resto del sistema solare

La forza di gravità di Giove ha contribuito, insieme a quella del Sole, a plasmare il sistema solare. Giove possiede infatti una vasta sfera di Hill (la sfera di influenza gravitazionale), la più grande del sistema solare eccetto, ovviamente, quella del Sole; essa si estende da un minimo di 0,30665 ad un massimo di 0,33786 U.A. dal centro del pianeta, pari a rispettivamente 45,87 e a 50,54 milioni di km. Tali dimensioni rendono quindi l'idea del ruolo che il pianeta svolge nel regolare gli assetti gravitazionali del sistema planetario.
Le orbite dei satelliti esterni; da notare la loro forte inclinazione, probabile segno che si tratta di asteroidi catturati dal grande campo gravitazionale di Giove. Il pianeta è il responsabile di gran parte delle lacune di Kirkwood nella fascia principale degli asteroidi, e si ritiene che sia stato il principale fautore dell'intenso bombardamento tardivo nelle prime fasi della storia del sistema solare. Inoltre, la maggioranza delle comete periodiche appartiene alla famiglia di Giove, i cui membri sono caratterizzati da avere orbite i cui semiassi maggiori sono inferiori a quello del pianeta. Tali comete si sarebbero formate all'interno della fascia di Kuiper, ma la loro orbita particolarmente ellittica sarebbe il risultato dell'attrazione del Sole e delle perturbazioni gravitazionali esercitate da Giove durante il passaggio delle comete nei pressi del gigante gassoso.

Cattura temporanea di satelliti

La grande sfera di Hill permette al pianeta di catturare temporaneamente diversi corpi minori e di porli in orbita intorno ad esso; l'avverbiotemporaneamente può essere inteso sia su una scala temporale "astronomica", quindi dell'ordine del milione di anni o più, sia su scale temporali "umane", da alcuni mesi sino a qualche decennio.
Tra i satelliti temporanei, noti anche come TSC (dall'inglese "Temporary Satellite Capture"), catturati nell'ultimo secolo si annoverano anche alcune comete periodiche, come 39P/Oterma, 82P/Gehrels, 111P/Helin-Roman-Crockett, 147P/Kushida-Muramatsu, P/1996 R2 Lagerkvist e probabilmente anche la famosa D/1993 F2 Shoemaker-Levy 9. Giove sicuramente cattura in via temporanea anche asteroidi, ma non è stato fin'ora osservato alcun caso; si presume che tuttavia i satelliti irregolari del sistema gioviano esterno siano degli asteroidi catturati.

Asteroidi troiani

Oltre al sistema di satelliti, il campo gravitazionale di Giove controlla numerosi asteroidi, detti asteroidi troiani, che sono vincolati in corrispondenza di alcuni punti di equilibrio del sistema gravitazionale Sole-Giove, i punti di Lagrange, in cui l'attrazione complessiva è nulla. In particolare, il maggiore addensamento di asteroidi si ha in corrispondenza dei punti L4 ed L5 (che, rispettivamente, precede e segue di 60° Giove nel suo tragitto orbitale), poiché il triangolo di forze con vertici Giove-Sole-L4 oppure Giove-Sole-L5 permette ad essi di avere un'orbita stabile. Gli asteroidi troiani si distribuiscono in due regioni oblunghe e curve attorno ai punti lagrangiani, e possiedono orbite attorno al Sole con semiasse maggiore medio di circa 5,2 UA.
Il primo asteroide troiano, 588 Achilles, fu scoperto nel 1906 da Max Wolf. Gli asteroidi troiani di Giove (colorati in verde) sono visibili anteriormente e posteriormente a Giove in corrispondenza del suo tragitto orbitale. L'immagine mostra anche la fascia principale, tra le quasi 3000, ma si ritiene che il numero di troiani più grandi di 1 km sia dell'ordine del milione, vicino a quello calcolato per gli asteroidi più grandi di 1 km nella fascia principale. Come nella maggior parte delle cinture asteroidali, i troiani si raggruppano in famiglie. I troiani di Giove sono degli oggetti oscuri con spettri tendenti al rosso e privi di formazioni, che non rivelano la presenza certa di acqua o composti organici. I nomi degli asteroidi troiani di Giove derivano da quelli degli eroi che, secondo la mitologia greca, presero parte alla Guerra di Troia; i troiani di Giove si dividono in due gruppi principali: il campo greco (o gruppo di Achille), posto sul punto L , in cui gli asteroidi hanno i nomi degli eroi greci, e il campo troiano (o gruppo di Patroclo), sul 4°punto L, i cui asteroidi hanno il nome degli eroi troiani. Tuttavia, alcuni asteroidi non seguono questo schema: 617 Patroclus e 624 Hektor vennero denominati prima che venisse scelto di operare questa divisione; di conseguenza, un eroe greco appare nel campo troiano ed un un eroe troiano si trova nel campo greco.


Il segno (la macchia irregolare brillante) lasciato dall'impatto del luglio 2009 sull'atmosfera del pianeta. Immagine ripresa nell'infrarosso dai telescopi Keck.

Impatti

Giove è stato spesso accreditato come lo spazzino del sistema solare, per via del suo immane pozzo gravitazionale e della sua posizione relativamente vicina al sistema solare interno, che lo rendono l'attrattore della maggior parte degli oggetti vaganti nelle sue vicinanze; per tale ragione è anche il pianeta con la maggior frequenza di impatti dell'intero sistema solare. Testimonianze di impatti sul pianeta gigante sembrano risalire già al XVII secolo: l'astrofilo giapponese Isshi Tabe ha scoperto tra i carteggi delle osservazioni di Cassini dei disegni che rappresentano una macchia scura, apparsa su Giove il 5 dicembre 1690, e ne seguono l'evoluzione durante 18 giorni; potrebbero quindi costituire la prova di un impatto antecedente a quello della Shoemaker-Levy 9. L'ultimo impatto registrato, presumibilmente di una cometa o di un asteroide, si è verificato nel luglio del 2009 e ha prodotto nell'atmosfera del pianeta una macchia scura, simile in dimensioni all'Ovale BA.

Giove ripreso nell'ultravioletto dal telescopio Hubble poco dopo l'impatto con la Shoemaker-Levy 9. Le lettere indicano i frammenti della cometa responsabili delle "cicatrici" segnalate dalle frecce.

L'impatto della cometa Shoemaker-Levy 9

Tra il 16 ed il 22 luglio del 1994 i frammenti della cometa D/1993 F2 Shoemaker-Levy 9 precipitarono su Giove; è stata la prima, e fin'ora unica, cometa ad essere osservata durante la sua collisione con un pianeta. Scoperta il 25 marzo 1993 dagli astronomi Eugene e Carolyn Shoemaker e da David Levy mentre analizzavano delle lastre fotografiche dei dintorni di Giove, la cometa destò immediatamente l'interesse della comunità scientifica: non era mai accaduto infatti che una cometa fosse scoperta in orbita attorno ad un pianeta e non direttamente intorno al Sole. Catturata da Giove presumibilmente tra la seconda metà degli anni sessanta ed i primi anni settanta, la cometa fu disgregata in 21 frammenti dalle forze di marea del gigante gassoso; la Shoemaker-Levy 9 si presentava nel 1993 come una lunga fila di punti luminosi immersi nella luminescenza delle loro code. Gli studi condotti sull'orbita della cometa poco dopo la sua scoperta portarono alla conclusione che essa sarebbe caduta sul pianeta entro il luglio del 1994; fu quindi avviata un'estesa campagna osservativa che coinvolse numerosi strumenti per la registrazione dell'evento. Le macchie scure che si formarono sul pianeta a seguito della collisione furono osservabili da Terra per diversi mesi, prima che l'attiva atmosfera gioviana riuscisse a cancellare le cicatrici di questo energico evento.
L'evento ebbe una rilevanza mediatica considerevole, ma contribuì notevolmente anche alle conoscenze scientifiche sul sistema solare; in particolare, le esplosioni causate dalla caduta della cometa si rivelarono molto utili per investigare le proprietà dell'atmosfera di Giove sotto gli immediati strati superficiali.

Possibilità di sostenere la vita

Nel 1953 un neolaureato, Stanley Miller, ed il suo professore, Harold Urey, realizzarono un esperimento che provò che molecole organiche si sarebbero potute formare spontaneamente sulla Terra primordiale a partire da precursori inorganici. In quello che è passato alla storia come "esperimento di Miller-Urey" si fece uso di una soluzione gassosa altamente riducente, contenente metano, ammoniaca, idrogeno e vapore acqueo, per formare, sotto l'esposizione di una scarica elettrica continua (che simulava i frequenti fulmini che dovevano squarciare i cieli della Terra primitiva), sostanze organiche complesse ed alcuni monomeri di macromolecole fondamentali per la vita, come gli amminoacidi delle proteine. Poiché la composizione dell'atmosfera di Giove ricalca quella che doveva essere la composizione dell'atmosfera terrestre primordiale e al suo interno avvengono con una certa frequenza intensi fenomeni elettrici, lo stesso esperimento è stato replicato per verificarne le potenzialità nel generare le molecole che stanno alla base della vita. Tuttavia, la forte circolazione verticale dell'atmosfera gioviana porterebbe gli eventuali composti che si verrebbero a produrre nelle zone basse dell'atmosfera del pianeta; inoltre, le elevate temperature di queste regioni provocherebbero la decomposizione di queste molecole, impedendo in tal modo la formazione della vita così come la conosciamo. Per queste ragioni, si ritiene altamente improbabile che su Giove vi possa essere vita simile a quella terrestre, anche in forme molto semplici come i procarioti, per via degli scarsi quantitativi d'acqua, per l'assenza di una superficie solida e per le altissime pressioni che si riscontrano nelle aree interne.
Tuttavia nel 1976, prima delle missioni Voyager, si ipotizzava che nelle regioni più alte dell'atmosfera gioviana potessero evolversi delle forme di vita basate sull'ammoniaca e su altri composti dell'azoto; la congettura è stata formulata prendendo spunto dall'ecologia dei mari terrestri, in cui, a ridosso della superficie, si addensano semplici organismi fotosintetici, come il fitoplancton, subito al di sotto dei quali si trovano i pesci che si cibano di essi, e più in profondità i predatori marini che si nutrono dei pesci. I tre ipotetici equivalenti di questi organismi su Giove sono stati definiti da Sagan e Salpeter "galleggiatori", "sprofondatori" e "cacciatori" (o, in lingua inglese, floaters, sinkers ed hunters), e sono stati immaginati come delle creature simili a bolle di dimensioni gigantesche che si muovono propellendo l'elio atmosferico.
I dati forniti dalle due Voyager nel 1979 hanno confermato la non idoneità del gigante gassoso a supportare eventuali forme di vita.

Giove nella cultura umana

Etimologia e significato mitologico-religioso

La grande luminosità di Giove, che lo rende ben visibile nel cielo notturno, lo ha reso oggetto di numerosi culti religiosi da parte delle civiltà antiche, per prime le civiltà mesopotamiche. Per i Babilonesi, il pianeta rappresentava Marduk, il primo fra gli dei e il creatore dell'uomo.L'analogo greco di Marduk era Zeus (in greco antico Ζεύς), che era spesso poeticamente chiamato con il vocativo Ζεῦ πάτερ (Zeu pater, O padre Zeus!). Il nome è l'evoluzione di Diēus, il dio del cielo diurno della religione protoindoeuropea, chiamato anche Dyeus ph tēr (Padre Cielo).
Il dio era conosciuto con questo nome anche in sanscrito (Dyaus/Dyaus Pita) e in latino (Iuppiter, originariamente Diespiter), lingue che elaborarono la radice dyeu- ("splendere" e nelle sue forme derivate "cielo, paradiso, dio"); in particolare, il nome latino della divinità, che deriva dal vocativo *dyeu-ph tēr, presenta molte analogie con il sostantivo deus-dīvus (dio, divino) e dis (una variazione di dīves, ricco) che proviene dal simile sostantivo deiwos.
Zeus/Giove è quindi l'unica divinità del Pantheon olimpico il cui nome abbia un'origine indoeuropea così marcata. Zeus/Giove era re degli dei, sovrano dell'Olimpo, dio del cielo e del tuono. Famoso per le sue frequentissime avventure erotiche extraconiugali, fu padre di divinità, eroi ed eroine e la sua figura è presente nella maggior parte delle leggende che li riguardano.

Lo Zeus di Otricoli. Marmo, copia romana di originale bronzeo greco del IV secolo a.C. Musei Vaticani.

Dalla medesima radice indoeuropea trae origine anche il nome dell'equivalente nella religione germanica e in quella norrena (Tīwaz, in alto tedesco antico Ziu e in norreno Týr).
Tuttavia, se per Greci e Romani il dio del cielo era anche il più grande degli dei, nelle culture nordiche questo ruolo era attribuito ad Odino: di conseguenza questi popoli non identificavano, per il suo attributo primario di dio del tuono, Zeus/Giove né con Odino né con Tyr, quanto piuttosto con Thor (Þórr). Da notare comunque come il quarto giorno della settimana sia dedicato da entrambe le culture, quella greco romana e quella nordica, come il giorno dedicato a Giove: Giovedì deriva infatti dal latino "Iovis dies", mentre l'equivalente inglese, Thursday, significa "Thor's day", ossia giorno di Thor.

Nell'astrologia

Il simbolo astrologico di Giove.

Nell'astrologia occidentale il pianeta Giove è associato al principio della crescita, dell'espansione, della prosperità e della buona sorte, così come al senso interiore di giustizia di una persona, alla moralità e ai suoi più alti intenti e ideali. Governa i viaggi lunghi, specialmente quelli all'estero, l'educazione più elevata, la religione e la legge; è inoltre associato ad una propensione alla libertà e all'esplorazione, ai ruoli umanitari e protettivi, e con la capacità di rendere allegri e felici, o gioviali. Il pianeta è domiciliato nel Sagittario (domicilio diurno) e nei Pesci (domicilio notturno), in esaltazione nel Cancro, in esilio nei Gemelli e nella Vergine, in caduta nel Capricorno. Nell'astrologia moderna Giove è ritenuto il possessore della nona e della dodicesima casa, ma tradizionalmente gli erano assegnate la seconda e la nona (rispettivamente, la casa dei valori e dei pensieri) ed aveva "gioia" nell'undicesima casa, degli amici e delle aspirazioni.
Nell'astrologia medica il pianeta governa il sangue ed è associato al fegato, all'ipofisi e alla disposizione del tessuto adiposo.
Nell'astrologia cinese Giove era chiamato la stella del legno (木 星 ) ed era importante in quanto considerato foriero di prosperità, al punto che al tempo della dinastia Zhou era noto con il nome Sui Xing, che significa Il Pianeta dell'Anno. La sua importanza era tale che l'imperatore nominava direttamente un funzionario astronomo il cui compito specifico era l'osservazione del pianeta, di cui doveva registrare scrupolosamente la posizione rispetto alle costellazioni zodiacali, gli spostamenti al loro interno, e perfino il suo colore: se questo appariva tendente al rosso l'opulenza avrebbe regnato nelle regioni dell'impero situate geograficamente verso la direzione in cui il pianeta era visibile nel cielo; se invece il colore era giallo allora la prosperità era da ritenersi diffusa su tutto l'impero.
Nell'astrologia indiana Giove è chiamato Guru o Bṛhaspati ed è noto come il "grande maestro".


I beati del Cielo di Giove nell'Aquila imperiale; incisione di Gustave Doré.

Nella letteratura e nelle opere di fantascienza

Giove, nonostante la sua grande luminosità, non ha goduto di grande attenzione nel mondo letterario antico e medioevale; il pianeta, infatti, compare principalmente come riferimento per il suo significato astrologico. Marco Manilio, nei suoi Astronomicon libri, descriveva Giove come un pianeta dagli influssi temperati e benigni, e lo definiva come il pianeta più benefico.
Dante Alighieri, nel Convivio, associa Giove all'arte della geometria, poiché come Giove è la «stella di temperata complessione» (Con - II, 14) tra il cielo caldo di Marte e quello freddo di Saturno, così la geometria spazia tra il punto, suo principio primo, e il cerchio, figura perfetta e quindi sua massima realizzazione.
Il pianeta compare anche nel capolavoro del poeta fiorentino, la Divina Commedia, e in particolare nel Paradiso, di cui rappresenta il sesto Cielo. La virtù caratteristica dei beati di questo Cielo è la giustizia: esso è infatti sede delle anime di principi saggi e giusti (tra cui Re Davide, Traiano e Costantino), che appaiono a Dante come luci che volano e cantano, formando lettere luminose che compongono la frase «Diligite iustitiam qui iudicatis terram » («Amate la giustizia voi che giudicate il mondo»); in seguito i beati, a partire dall'ultima M (che è anche l'iniziale della parola "Monarchia", tematica cara a Dante), danno forma all'immagine di un'aquila, allegoria dell'Impero. Questo cielo è mosso dalle intelligenze angeliche della seconda gerarchia, cioè dalle dominazioni.
Solamente a partire dal XVIII secolo il pianeta fu utilizzato in quanto tale, come ambientazione fittizia per diverse opere letterarie a carattere filosofico: in Micromega, scritto da Voltaire nel 1752, l'eroe eponimo e il suo compagno saturniano si fermano su Giove per un anno, durante il quale hanno «imparato alcuni segreti veramente degni di nota».
Fu soprattutto verso la fine del XIX secolo che il pianeta divenne in maniera costante l'ambientazione di numerosi racconti del filone fantascientifico. Giove è stato spesso rappresentato, soprattutto nelle opere dei primi anni del Novecento, come un enorme pianeta roccioso circondato da un'atmosfera molto densa e spessa, prima che si scoprisse la sua vera natura di gigante gassoso, privo di una vera e propria superficie.
Oltre a Giove stesso è stato spesso utilizzato come ambientazione fantascientifica anche il suo sistema di satelliti.



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