Dove Siamo
Ferrara è un comune italiano di oltre 130.000 abitanti, capoluogo dell'omonima provincia in Emilia-Romagna.
Fu capitale del Ducato di Ferrara nel periodo degli Estensi, quando rappresentò un importante centro politico, artistico e culturale.
Lo sviluppo urbanistico avvenuto durante il Rinascimento trasformò la città in un modello urbano che le valse il titolo di "prima capitale moderna d'Europa".
Nel 1995 ottenne dall'UNESCO il riconoscimento di patrimonio dell'umanità per il centro storico e nel 1999 per il delta del Po e le delizie estensi.
È sede universitaria (Università degli Studi di Ferrara) e arcivescovile (Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio).
L'economia si basa sulla produzione agricola, ma possiede vari impianti industriali, in particolare nel settore petrolchimico, e un polo per le piccole e medie imprese.

Stato: Italia

Regione: Emilia-Romagna

Provincia: Provincia di Ferrara

Coordinate: 44°50′07.07″N 11°37′11.51″E

Altitudine: 9 m s.l.m.

Superficie: 405,16 km²

Abitanti: 131.670 (31-8-2021)

Densità: 324,98 ab./km²

Codice postale: 44121–44124

Prefisso Telefonico: 0532

Fuso orario: UTC+1

Targa: FE

Nome abitanti: ferraresi, estensi

Patrono: San Giorgio

Giorno festivo: 23 aprile

IL Territorio

Secondo i dati confermati dal Consorzio delle bonifiche ferraresi il territorio della provincia è per il 44% sotto il livello del mare, con depressioni che superano i -4,5 metri in un'area compresa tra il Po, il mare Adriatico, il Reno ed il Panaro.
L'origine alluvionale del territorio ed il fatto che per secoli fosse stato soggetto ad inondazioni ricorrenti ha indotto alle prime opere di bonifica realizzate dagli Estensi (con Borso d'Este ed Ercole I d'Este) nelle immediate vicinanze della città (a Casaglia, Diamantina e La Sammartina) e poi all'intervento nel Polesine di Ferrara, voluta da Alfonso II d'Este nel 1580, quando la fase storica del ducato estense stava per concludersi. Tra gli architetti che contribuirono all'opera Giovan Battista Aleotti.
In breve tempo, anche a causa dell'abbassamento del suolo dovuto a fenomeni di subsidenza, si perdettero molti dei risultati positivi ottenuti inizialmente e le bonifiche furono necessariamente ripetute (quando ormai Ferrara era tornata sotto dominio papale) con gli interventi voluti da papa Gregorio XIII, da papa Clemente VIII, da papa Innocenzo X e da papa Benedetto XIV. Le bonifiche che ebbero un effetto più duraturo si attuarono tuttavia in seguito, nel corso del XIX secolo, grazie ai nuovi mezzi meccanici a disposizione.
Il territorio, considerata la sua genesi e le vicende storiche, è contraddistinto da numerosi canali artificiali per l'irrigazione ed il drenaggio delle campagne, rese coltivabili e abitabili. Risulta totalmente pianeggiante con un'altitudine compresa tra 2,4 e 9 m s.l.m. ed una superficie di 405,16 km² (Si classifica come diciassettesimo comune per estensione in Italia). Confina a nord con la regione Veneto, in particolare con la provincia di Rovigo, e a sud con la città metropolitana di Bologna.
Il fiume Po (che nel corso dei secoli ha più volte cambiato il suo corso) ha influenzato la città sin dalla nascita e ne ha condizionato lo sviluppo. Il territorio comunale e molta parte di quello provinciale costituiscono un paesaggio modificato artificialmente, risultato dell'azione umana concretizzatasi nelle grandi opere di bonifica ricordate. La città è ad un'altitudine inferiore al livello medio delle acque del Po ed il fiume deve essere controllato da argini imponenti.
Serve un continuo lavoro delle pompe idrovore per non far sommergere la pianura dall'acqua e permettere così che le acque derivanti dalle precipitazioni vengano avviate verso il mare attraverso i numerosi canali artificiali.
L'Addizione Erculea, opera urbanistica iniziata a Ferrara alla fine del XV secolo per iniziativa del duca Ercole I d'Este e realizzata grazie al suo architetto di corte Biagio Rossetti, fu la prima nel suo genere per estensione e organicità, tale da renderla, secondo Bruno Zevi la prima città moderna europea. Si concluse agli inizi del XVI secolo, con la morte del duca, ma l'impianto della città nato in quel periodo rimase inalterato per i secoli successivi.
Il primo nucleo cittadino fu un piccolo castrum bizantino su un'isola tra il Volano e il Primaro, la cosiddetta Ferrariola (il futuro Borgo San Giorgio). Qui venne edificata la basilica di San Giorgio fuori le mura e le principali vie di comunicazione costeggiavano le rive dei fiumi mentre attorno si estendeva un territorio pianeggiante.
La Ferrara medievale si sviluppava poi più a nord, dove oggi esistono via Ripagrande e via Carlo Mayr. Via delle Volte scorreva accanto alla riva del Po e il limite settentrionale era costituito dalla parallela Via dei Sabbioni (che in seguito avrebbe dato origine a via Mazzini e via Garibaldi).
Questo nucleo aveva strade strette e difficilmente rettilinee, era privo di piazze e si sviluppava essenzialmente nel senso est ovest. Era una città lineare intendendo con questo un suo andamento prevalentemente longitudinale.
Molto diffuso era l'uso del cotto decorato.
Un primo ampliamento si ebbe con Borso d'Este a metà del XV secolo, consistente nella creazione dell'attuale via XX Settembre, a sud del nucleo originario, con alcune strade ortogonali.
Fu soprattutto Ercole I d'Este a mettere in atto un ambizioso progetto urbanistico, un vero e proprio raddoppio della città fondato su principi razionali, affidandone la realizzazione all'architetto Biagio Rossetti. I progetti si avviarono nel 1484 in seguito all'assedio di Ferrara da parte della Repubblica di Venezia. Le prime motivazioni quindi erano essenzialmente difensive, espandendo l'area cittadina compresa entro le mura (Il baluardo del Barco è fra i più arcaici esempi di fortificazione alla moderna) ma nel progetto non mancò una visione urbanistica legata al concetto di città ideale ed una realizzazione delle aspirazioni di Ercole, legate alla sua formazione alla corte di Napoli, dove aveva imparato ad amare l'architettura classica e l'arte.
L'opera, che fu realizzata tra il 1492 e il 1510, esaltava il prestigio della corte estense e la metteva in competizione con le più importanti corti europee.
Innanzitutto fu interrato il fosso della Giovecca, facendone una larga strada che facesse da cerniera con la parte antica della città: in corrispondenza degli sbocchi delle vie medievali fece infatti prolungamenti regolari, fondendo organicamente il vecchio e il nuovo. La nuova parte, rifacendosi all'urbanistica romana nelle descrizioni di Vitruvio, aveva una rete viaria ortogonale che si articolava su due assi principali:
Un lungo viale, che per un certo periodo fu chiamato via degli Angeli, che correva da Sud verso Nord e collegava il Castello Estense con la Porta degli Angeli, sulle mura verso rampari di Belfiore, (l'attuale corso Ercole I d'Este). Una via lunghissima che correva da Est a Ovest collegando Porta Po e Porta a Mare presso i bastioni delle mura, chiamata via dei Prioni e via degli Equinozi (oggi divisa, da ovest ad est, in corso Porta Po, corso Biagio Rossetti e corso Porta Mare). Il secondo asse, in particolare, era completamente nuovo e dal sapore pienamente "pubblico" (a fronte dell'altro asse che restava legato al passaggio dei duchi) e venne particolarmente enfatizzato con una grande piazza alberata, l'attuale piazza Ariostea.
La parte "nuova" della città venne (ed è) chiamata Arianuova. Per integrare l'addizione con il resto della città e stemperarne la possibile rigidità dello schema, Rossetti lasciò zone verdi che fungessero da "pausa" nel tessuto edilizio e, per gli edifici da lui progettati, continuò ad usare il tradizionale cotto. Ed è proprio aggirandosi in questa nuova città, ancora priva di case e di abitanti, fatta appunto d'aria, che Torquato Tasso portò a termine il primo moderno poema europeo, La Gerusalemme liberata.
Andrea Bolzoni, per produrre la sua pianta piano-prospettica della città di Ferrara, partì dal periodo dell'Addizione Erculea. Seguendo un modello di città ideale integrò l'esistente secondo il suo giudizio, aggiungendo edifici e coprendo spazi vuoti che, a suo giudizio, andavano utilizzati. Ottenne così un progetto, più che una vera pianta di Ferrara, una prefigurazione di quella che avrebbe dovuto diventare, un vero e proprio piano regolatore utilizzato sino alla metà del secolo scorso.
Nel Quadrivio degli Angeli si incrociano due assi fondamentali dell'addizione e vi si affacciano il Palazzo dei Diamanti, il Palazzo Turchi di Bagno e il Palazzo Prosperi-Sacrati. Qui è evidente la scelta di Rossetti di non caricare questo spazio cruciale con un elemento statico come una piazza, né di caratterizzarlo con vedute monumentali, preferendo vedute di scorcio delle architetture.
L'edificio di maggior pregio è il palazzo dei Diamanti, che deve il nome all'impresa di Ercole I e della casata estense ed è caratterizzato da un rivestimento a bugne appuntite che creano un suggestivo effetto di chiaroscuro. Il palazzo presenta lastre decorate da candelabre in corrispondenza dell'angolo sul quadrivio, dove si imposta anche un balcone. Gli altri edifici sul quadrivio non ne eguagliarono l'imponenza, concentrandosi piuttosto sulla ricerca di effetti di variazione, con grandi portali o pilastrate d'angolo (rivestimenti marmorei decorati, posti sugli spigoli degli edifici).
Il risultato urbanistico, una struttura ortogonale composta da angoli retti e linee dritte, è rimasto ad oggi intoccato nella sua logistica e razionalità moderna. La nuova situazione urbanistica ferrarese fu infatti, nel panorama italiano ed europeo del tempo, la più moderna e anche la più duratura. Spariva la netta divisione tra città dei signori e città dei sudditi (come avveniva a Mantova) ed il rapporto di sudditanza tra le due (come nell'urbanistica di Pienza) ed era presente un'integrazione armonica tra le parti, ciascuna con la propria caratterizzazione. Un completo sviluppo dell'Addizione avrebbe dovuto essere completato in tempi successivi ma la ridotta crescita demografica e la successiva devoluzione di Ferrara bloccarono il progetto.
Nel 1995 quest'opera ha permesso al centro storico di Ferrara di essere dichiarato patrimonio dell'umanità da parte dell'UNESCO quale mirabile esempio di città progettata nel Rinascimento che conserva il suo centro storico intatto e che fa di Ferrara la "prima città moderna d'Europa".

La Cattedrale
Il Castello Estense
Palazzo dei Diamanti
Piazza Trento e Trieste
Il Teatro Comunale
La Stazione con le biciclette
Via delle Volte
Le Mura
La casa di Biagio Rossetti
Quadrivio degli Angeli
La Prospettiva
Palazzo Prosperi Sacrati
Delizia del Verginese
Palazzo Paradiso
Palazzo Schifanoia
Castello di Mesola


Cocomaro di Focomorto (FE)

Cocomaro di Focomorto: frazione

Stato: Italia

Regione: Emilia-Romagna

Provincia: Ferrara

Comune: Ferrara

Coordinate: 44°48′50″N 11°41′22″E

Altitudine: 6 m s.l.m.

Abitanti: 466 (2011)

Codice postale: 44123

Prefisso: 0532

Fuso orario: UTC+1

Patrono: San Nicolò

Giorno festivo: 13 novembre

Cocomaro di Focomorto è una frazione, di 466 abitanti, del comune di Ferrara di cui essa fa parte. E' situata ad est della città dalla quale dista 7,25 chilometri. L'area è citata in alcuni documenti risalenti al 904, il suo nome era Val di Zucche e Val di Cuccula. Si hanno anche notizie del borgo in riferimento alla sua chiesa, risalente al 1141 dedicata a San Nicolò. Crollata nel 1642 fu successivamente ricostruita dalla Congregazione Benedettina Olivetana del Monastero di San Giorgio fuori le mura, mentre nel 1790 fu rifatto il campanile in stile barocco. L'abitato odierno si sviluppa lungo l'argine sinistro del Po di Volano, le cui acque lo separano da Cocomaro di Cona, sulla sponda opposta. Fra gli uomini illustri nati a Cocomaro di Focomorto si ricordano Ugo Malagù, pubblicista, e il tenore Onelio Finca.

Cocomaro di Cona (FE)

Cocomaro di Cona: frazione

Stato: Italia

Regione: Emilia-Romagna

Provincia: Ferrara

Comune: Ferrara

Coordinate: 44°48′46″N 11°40′43″E

Altitudine: 7 m s.l.m.

Abitanti: 433 (2011)

Codice postale: 44123

Prefisso: 0532

Fuso orario: UTC+1

Patrono: Assunzione di Maria

Giorno festivo: 15 agosto

Il nome deriva da Cucumarious, forma antica di Cocumario, pentola, pignatta, cuccuma. La località è meglio conosciuta come Cocomarino cui si aggiunge la specificazione di Cona, perché dipendeva da quella chiesa. Le origini dell'abitato sono molto antiche, probabilmente risalenti a prima del Mille. Il borgo odierno è formato da alcune case sorte nell'antica golena del Volano e lungo l'argine destro del fiume dove, ora, scorre la strada (Via Comacchio) e si estende fra Aguscello e Cona. Cocomaro di Cona è una frazione di Ferrara di 433 abitanti, facente parte della Circoscrizione 4. Nel borgo sorge la parrocchia dell'Assunzione, divenuta tale nel 1632 con la costruzione della chiesa. La piccola chiesa è dedicata all'Assunzione; ai tempi del Guarini fu affidata agli Olivetani di S. Giorgio ed elevata a parrocchia nel 1632. L'interno fu abbellito una prima volta nel 1760 e, ancora nel 1763; mentre il campanile elegante nella sua semplicità, risale al 1892. Un tempo v'era un palazzo detto la Camerina, di proprietà del Marchese Verano da Camerino, che fu poi degli Strozzi, dei Bentivoglio e dei Lombardi. Nelle campagne dominano lussureggianti frutteti. La sagra paesana cade il 15 agosto.

Il Grande Fiume

Schematizzazione dell'evoluzione del delta del Po dal 1604, data della chiusura dell'imbocco del fiume Reno nel Po, fino al 1985.
(Fonte: Wikipedia)

Il fiume Po era geograficamente conosciuto già ai tempi dell'antica Grecia col nome di Eridanós (in greco antico Ἠριδανός, in latino: Eridanus; nell'italiano letterario Eridano); in origine stava ad indicare un fiume mitico, indicato grossolanamente a sud della Scandinavia, che si formò dopo l'ultima glaciazione europea (Würm). Il nome italiano Po si ottiene quindi dalla contrazione del latino Padus > Pàus > Pàu > Pò. In diverse lingue slave (ceco, slovacco, polacco, sloveno, serbo, croato) ma anche nelle lingue romanze, quali il romeno, spesso si usa ancora chiamare questo fiume Pad o Padus. Prima della caduta dell'Impero romano d'Occidente, il corso principale del fiume Po seguiva il ramo di Primaro, quindi molto più a sud rispetto al corso attuale, sfociando a 17 km da Ravenna.
Durante il dissesto idrografico del Veneto del VI secolo, il corso principale del Po si spostò più a nord seguendo il ramo di Volano. La tradizione indica una data, il 17 ottobre 589, coincidente alla rotta della Cucca, ma da una lettera di Cassiodoro ai “marinai” veneti si viene a sapere che già nel 537-538 il Po di Volano era il ramo più attivo. Questi due rami, il Volano e il Primaro, per il naturale processo di sedimentazione del trasporto solido e la scarsa manutenzione dei loro alvei, divennero pensili ed esondarono frequentemente. Nel 1152, a seguito di forti e frequenti precipitazioni, il Po ruppe gli argini in più punti presso Ficarolo ed allagò la campagna e le valli del Polesine. La rotta rimase poi disalveata per circa una ventina d'anni.
I rami del Po di Volano e di Primaro persero progressivamente di portata e di importanza; il nuovo corso del fiume si assestò su un tratto più settentrionale, che corrispondeva grosso modo a quello attuale fino ad Ariano, dove si separava in due rami: il Po di Fornaci, che proseguiva direzione nord-est e sfociava nel mare Adriatico presso Porto Viro, che all'epoca si trovava sulla costa nel territorio controllato dal Dogado di Venezia; il Po di Ariano, che seguiva grossomodo il tratto attuale del Po di Goro e sfociava alla Mesola.
Il Tartaro e l'Adige divennero gli ultimi affluenti di sinistra del Po delle Fornaci.
Gli Estensi, che all'epoca governavano su tutto il territorio attraversato dal basso Po, si occuparono dei lavori di arginatura del nuovo ramo, che in seguito prese il nome di Po di Ficarolo. Diversi villaggi ed abitati furono addirittura divisi in due: per esempio Santa Maria Maddalena (frazione dell'odierna Occhiobello) fu separata da Pontelagoscuro, la Guardazzola (l'odierna Guarda Veneta) dalla Guarda (l'odierna Guarda Ferrarese, frazione di Ro), Adria da Corbola e Berra da Ariano.
In seguito dal Po di Fornaci si formarono altri tre rami del delta: il Po di Tramontana verso nord, che sfociava presso l'attuale Rosolina, il Po di Levante verso est, che corrisponde grossomodo all'omonimo canale attuale, e il Po di Scirocco verso sud. In particolare, fu il Po di Tramontana a preoccupare, diversi secoli dopo, i veneziani e a spingerli, nel 1600, a compiere l'opera di ingegneria idraulica chiamata taglio di Porto Viro, ultimata nel 1604, e dare al Po il corso che ha ancora oggi.




Il taglio di Porto Viro fu una grande opera idraulica realizzata nel Delta del Po dalla Repubblica di Venezia,
cominciata il 5 maggio 1600 e ultimata il 16 settembre 1604.




Dal Po di Venezia, allora "Po di Corbola o Po del Mazzorno", anche di Longola (e prima ancora Po delle Fornaci, il cui ramo settentrionale era il Po di Tramontana), si deviò il corso del fiume Po da Cavanella Po (porto di Loreo) nella Sacca di Goro scavando un canale di 7 km, che costituisce parte del tratto dell'attuale Po di Venezia. Il Po delle Fornaci giunto alle dune di Loreo si divise in tre rami, verso nord est (tramontana), verso est (levante), e successivamente un altro verso sud (scirocco), così questi tre rami furono chiamati Po di Tramontana (il più attivo), Po di Levante, e Po di Scirocco.
Il delta del Po era anche una delle "Vie del sale", un sistema di comunicazione e trasporto fluviale di vitale importanza sia per la Serenissima sia per gli Estensi di Ferrara. Questo consentiva i trasporti in maniera efficiente dall'Adriatico sino alle zone ricche del milanese e del bresciano.
Venezia aveva da tempo progettato l'intervento, ma la presenza a Ferrara degli Estensi, rivali nel controllo della "via del Sale", rimandò l'inizio dei lavori in quanto ciò avrebbe causato una guerra; tanto più che gli stessi Estensi necessitavano dell'apporto d'acqua del Po per mantenere attivi i loro porti lungo le foci del Volano e dell'Abate.
La cessazione del dominio estense a Ferrara nel 1598 e il passaggio del Ducato direttamente allo Stato Pontificio come semplice provincia di confine incoraggiò Venezia nell'impresa.
Papa Clemente VIII aveva inoltre proclamato anno santo il 1600 e non poteva impegnarsi in guerra.
Il Doge Marino Grimani diede quindi inizio ai lavori sotto la direzione del Provveditore Alvise Zorzi. I lavori durarono più di 4 anni, anche per sabotaggi e scioperi fomentati dalla Santa Sede.
Il 16 settembre 1604 il Provveditore al taglio Zuan Giacomo Zane comunicava la conclusione dei lavori con questo messaggio al Doge:
«Hoggi alle hore 19, con il favor del Signor Dio, si ha dato l'acqua al novo Taglio, la quale vi è entrata per 50 e più aperture che si sono fatte nel medesimo tempo nell'argere, et dopo haver fatto un poco d'empito, in spatio di un'hora circa, si parizò con l'altra acqua dell'alveo, et continuò il suo corso...»
Le controversie si appianarono dopo anni di trattative e solo il 15 aprile 1749 venne stipulato un trattato tra Papa Benedetto XIV e il Doge Pietro Grimani ponendo fine alle ostilità, con la realizzazione di una linea di confine riconosciuta dalle parti, la Linea dei pilastri.
I nuovi territori furono appannaggio dei nobili Veneziani che vi costruirono le residenze estive di caccia. Attorno a queste ville sorsero piccoli agglomerati urbani che ancora conservano i toponimi del tempo: Ca' Cappello, Cà Cappellino, Ca' Contarini, Ca' Cornera, Ca' Dolfin, Ca' Farsetti, Cà Giustinian, Ca' Lattis, Ca' Mello, Ca' Mocenigo, Ca' Mora, Ca' Morosini, Ca' Negra, Ca' Papadopoli, Ca' Pasta, Cà Pesara, Ca' Pisani, Ca' Sanudo, Ca' Segreda, Sullam, Ca' Tiepolo, Ca' Venier, Ca' Zen, Ca' Zulian, Donà (Donada).
Le enormi quantità di sedimenti formarono parte dell'attuale Delta del Po, a est del cordone di dune fossili, una linea che congiungeva Massenzatica a Donada, passando per San Basilio di Ariano, Mazzorno destro e Mazzorno sinistro. Si formò gradualmente l'intero territorio del Comune di Porto Tolle e la parte est del Comuni di Mesola, Ariano nel Polesine, Taglio di Po (quasi completamente), e Porto Viro. Si formarono nuove isole abitabili nel Delta del Po, tra cui: l'Isola di Cà Venier, l'Isola della Donzella, l'Isola di Polesine Camerini, nonché, abitate solo d'estate, l'Isola di Barricata, quella dei Gabbiani e altre. La graduale estensione territoriale viene descritta in questo modo a pag. 32 vol. 5 parte II, del libro "Grande Illustrazione del Lombardo-Veneto" di L. Gualtieri di Brenna e Cesare Cantù, edito nel 1857-1861 a Milano da A. Tranquillo Ronchi, 1857-61:
«Quando si faceva il taglio di Porto Viro, il mare era a Contarina (Speron Contarini) o poco più basso, e certo è tutto nuovo il gran delta tra Maistra e Gnocca, nuovo un analogo prolungamento di Goro, vale a dire una linea lunga oltre dodici miglia, larga altrettanto nel corso di due secoli e mezzo. Particolarmente quanto allo spazio chiuso tra i rami Goro e Gnocca nell’isola di Ariano, ho sottocchio una carta firmata dai chiarissimi ingegneri Pasetti e Paleocapa. Premesso che nel 1578, quando Alfonso II d’Este fabbricava il palazzo della Mesola, era questa boscaglia sul lido del mare, rilievo da quella carta che nel 1647 giungea il fiume fin dove oggi sono le valli Argana e Veniera, nel 1749 sorpassava il luogo di Goro che gli era di già sorto sulle sponde, nel 1786 toccava Gorino, nel 1803 il Fortino, nel 1841 circa un altro miglio e mezzo erasi prolungato.»
Il taglio di Porto Viro incanalò le alluvioni nell'asse del vasto promontorio formato oggi dalle bocche del Po.
Più gli sbocchi a mare s'allontanavano, più crescevano i depositi sia per il pendio delle acque più scemato, sia perché le stesse erano imbrigliate fra dighe e argini, sia per il materiale trascinato dai monti dissodati. La Sacca di Goro rimase ben presto colmata, e i due promontori formati dalle due prime bocche si unirono in uno, la cui punta ora si trova 32 o 33 000 metri lontana da Adria: sicché in due secoli le bocche del Po tolsero quasi 14 000 metri al mare. Se dal 1200 al 1600 si avanzarono i terreni alluvionali 25 metri l'anno; 70 nei secoli XVI e XVII.
Se prima del 1600 il Delta si espandeva di circa 53 ettari l'anno, dal 1604 al 1840 si passò a 135 ettari l'anno.
La formazione di nuovi territori proseguì ulteriormente. Nel XIX secolo, con l'introduzione di idrovore a vapore, si realizzarono gradi opere di bonifica che, accompagnate dalla realizzazione di imponenti arginature, sottrassero in via definitiva grandi estensioni di terreni alla palude.
D'altro canto la realizzazione del taglio oltre a sottrarre acqua e materiali in sospensione alla laguna veneta, impedendone l'interramento (scopo dell'intervento idraulico), accentuarono l'interramento del Po di Primaro e del Po di Volano, rendendoli inutilizzabili per la navigazione a tal punto che attualmente non sono più rami del Po, ma canali di bonifica.
Per impedire ulteriormente l'afflusso di acque fangose, non ritenendo sufficiente il taglio di Porto Viro, fu ritenuto necessario interrare il Po di Tramontana e la Bocchetta (1612) e il Po di Fornaci (1645). Del Po di Tramontana è rimasto solo e ancor oggi visibile il paleoalveo tra le valli a sud della foce dell'Adige.
Il Po delle Fornaci restò isolato dal Po Grande (Po di Venezia), fungendo da convogliatore delle acque del Tartaro, già allora chiamato Canalbianco-Po di Levante.
Il Po di Levante, durante le grandi bonifiche operate negli anni trenta del secolo scorso, riguardanti l'idrovia Fissero-Tartaro-Canalbianco, venne staccato dal Po di Venezia, rimanendone collegato tramite la conca di navigazione di Volta Grimana, e divenne il ramo terminale del Canalbianco.
Il prolungamento del delta all'interno della Sacca di Goro provocò la divisione della stessa: la parte nord venne rinominata Sacca degli Scardovari, la parte sud Sacca dell'Abate che venne poi rinominata Sacca di Goro. Nei territori pontifici tale opera, osteggiata sin dall'inizio, determinò l'interramento della chiavica dell'Abbate e peggiorò le condizioni di scolo delle acque della bonifica provocando l'impaludamento di oltre 20.000 ettari di terreno bonificato dagli Estensi, nonché l'interramento parziale della Sacca. Il ridotto apporto di materiali comportò inoltre, a sud della Sacca dell'Abate, l'erosione della linea di costa. Sono stati trovati sommersi a 5 km al largo di Ravenna resti di un molo in muratura risalente all'epoca medioevale.
Il progressivo spostamento verso nord del delta del Po è un fenomeno naturale dovuto al maggiore apporto di sedimenti degli affluenti appenninici rispetto a quelli alpini, i quali depongono parzialmente i materiali in sospensione nei laghi alpini e conferiscono acque meno torbide. Il taglio di Porto Viro modificò le conseguenze di questi fenomeni naturali.
Altri fattori sono intervenuti nel XX secolo, rallentando la formazione di nuove terre: la subsidenza e il prelievo dagli alvei di materiali inerti per le costruzioni. In particolare la subsidenza provocata dalle estrazioni di metano, soprattutto negli anni quaranta e cinquanta, provocò l'abbassamento del terreno anche di 3,5 metri sotto il livello del mare.
La grande opera ha dato il nome ai Comuni di Taglio di Po e, sull'altra riva del fiume, a Porto Viro; inoltre a Taglio di Donada, località dell'ex Comune di Donada.
Oggi il Po di Volano (o semplicemente Volano) è un ex-ramo deltizio del fiume Po che si separa dal corso principale in destra idrografica all'altezza di Stellata, per attraversare la città di Ferrara. Dopo il Taglio di Porto Viro operato dai Veneziani nel 1604 il ramo di Volano, così come quello di Primaro, si è progressivamente interrato e ridotto ad un canale regolato. Sfocia in mare con una foce ad estuario a est di Codigoro, presso il Lido di Volano; tra le due località forma un'area naturale protetta, la riserva naturale Po di Volano. Il ponte più antico che attraversa il fiume nell'abitato di Ferrara è il ponte di San Giorgio.
Il Po di Primaro, o più correttamente Po morto di Primaro è stato un ramo deltizio del fiume Po. Il nome Padus Primarius serviva ad indicare che il "Primaro" era il ramo principale del fiume. Solcava un lungo bassopiano con un corso meandriforme; si diramava dal Po principale (Padus Maior) appena fuori le mura di Ferrara e continuava verso sud-est bagnando Torre Fossa, Gaibana, Marrara, San Nicolò. A mezza via tra la città estense e la foce, il Primaro lambiva Argenta e poi proseguiva in direzione Sud-Est fino al mare Adriatico, dove sfociava con un estuario, 18 km a Nord di Ravenna. Da destra riceveva i fiumi e torrenti che nascevano nell'Appennino bolognese e pistoiese (Reno) e in quello romagnolo (dal Sillaro al Lamone). Il primo pontefice che si occupò del riassetto delle acque del bacino del Primaro fu Clemente VIII (papa fino al 1605). Con il termine “bonifica clementina” si riassumono una serie di interventi: nuovo escavo dell'alveo da Ferrara sino a Sant'Alberto; conduzione nel Primaro del torrente Sillaro; rettificazione del Santerno, che fu condotto lungo l'alveo abbandonato del Senio; distacco del Lamone, che fu condotto in mare su un altro corso. Verso la fine del Seicento il complesso di questi interventi aveva determinato una situazione di grave instabilità, con pericolo di alluvionamenti e conseguente allagamento del suolo in diversi punti. Alla metà del XVIII secolo furono utilizzati gli ultimi 40 km del letto del Primaro per farvi confluire il fiume Reno, che non aveva uno sbocco al mare ma spagliava nelle valli. Il punto di immissione fu localizzato presso l'abitato di Argenta. Fu scavato un canale di 30 km da Argenta fino al Reno, in direzione ovest. Il Reno fu immesso nel canale artificiale, il Cavo Benedettino, all'altezza di Sant'Agostino. Le paludi della Valle padusa che caratterizzavano la zona furono gradatamente quasi tutte bonificate. Ancora oggi il termine «Po di Primaro» è utilizzato a volte per indicare il tratto terminale del fiume Reno fino alla foce. Oggi, da Ferrara ad Argenta non riceve più acque (il suo percorso è comunque riconoscibile poiché l'ambiente naturale attorno al suo letto si è conservato nel tempo). Da Argenta al mare Adriatico nel letto del Po di Primaro scorre il fiume Reno.
Le enormi quantità di sedimenti formarono parte dell'attuale Delta del Po, a est del cordone di dune fossili, una linea che congiungeva Massenzatica a Donada, passando per San Basilio di Ariano, Mazzorno destro e Mazzorno sinistro.
Si formò gradualmente l'intero territorio del Comune di Porto Tolle e la parte est del Comuni di Mesola, Ariano nel Polesine, Taglio di Po (quasi completamente), e Porto Viro.
Si formarono nuove isole abitabili nel Delta del Po, tra cui: l'Isola di Cà Venier, l'Isola della Donzella, l'Isola di Polesine Camerini, nonché, abitate solo d'estate, l'Isola di Barricata, quella dei Gabbiani e altre.
La graduale estensione territoriale viene descritta in questo modo a pag. 32 vol. 5 parte II, del libro "Grande Illustrazione del Lombardo-Veneto" di L. Gualtieri di Brenna e Cesare Cantù, edito nel 1857-1861 a Milano da A. Tranquillo Ronchi, 1857-61:

«Quando si faceva il taglio di Porto Viro, il mare era a Contarina (Speron Contarini) o poco più basso, e certo è tutto nuovo il gran delta tra Maistra e Gnocca, nuovo un analogo prolungamento di Goro, vale a dire una linea lunga oltre dodici miglia, larga altrettanto nel corso di due secoli e mezzo. Particolarmente quanto allo spazio chiuso tra i rami Goro e Gnocca nell’isola di Ariano, ho sottocchio una carta firmata dai chiarissimi ingegneri Pasetti e Paleocapa. Premesso che nel 1578, quando Alfonso II d’Este fabbricava il palazzo della Mesola, era questa boscaglia sul lido del mare, rilievo da quella carta che nel 1647 giungea il fiume fin dove oggi sono le valli Argana e Veniera, nel 1749 sorpassava il luogo di Goro che gli era di già sorto sulle sponde, nel 1786 toccava Gorino, nel 1803 il Fortino, nel 1841 circa un altro miglio e mezzo erasi prolungato.»

Il taglio di Porto Viro incanalò le alluvioni nell'asse del vasto promontorio formato oggi dalle bocche del Po. Più gli sbocchi a mare s'allontanavano, più crescevano i depositi sia per il pendio delle acque più scemato, sia perché le stesse erano imbrigliate fra dighe e argini, sia per il materiale trascinato dai monti dissodati. La Sacca di Goro rimase ben presto colmata, e i due promontori formati dalle due prime bocche si unirono in uno, la cui punta ora si trova 32 o 33 000 metri lontana da Adria: sicché in due secoli le bocche del Po tolsero quasi 14 000 metri al mare. Se dal 1200 al 1600 si avanzarono i terreni alluvionali 25 metri l'anno; 70 nei secoli XVI e XVII.
Se prima del 1600 il Delta si espandeva di circa 53 ettari l'anno, dal 1604 al 1840 si passò a 135 ettari l'anno.
La formazione di nuovi territori proseguì ulteriormente. Nel XIX secolo, con l'introduzione di idrovore a vapore, si realizzarono gradi opere di bonifica che, accompagnate dalla realizzazione di imponenti arginature, sottrassero in via definitiva grandi estensioni di terreni alla palude.
D'altro canto la realizzazione del taglio oltre a sottrarre acqua e materiali in sospensione alla laguna veneta, impedendone l'interramento (scopo dell'intervento idraulico), accentuarono l'interramento del Po di Primaro e del Po di Volano, rendendoli inutilizzabili per la navigazione a tal punto che attualmente non sono più rami del Po, ma canali di bonifica.
Per impedire ulteriormente l'afflusso di acque fangose, non ritenendo sufficiente il taglio di Porto Viro, fu ritenuto necessario interrare il Po di Tramontana e la Bocchetta (1612) e il Po di Fornaci (1645). Del Po di Tramontana è rimasto solo e ancor oggi visibile il paleoalveo tra le valli a sud della foce dell'Adige.
Il Po delle Fornaci restò isolato dal Po Grande (Po di Venezia), fungendo da convogliatore delle acque del Tartaro, già allora chiamato Canalbianco-Po di Levante.
Il Po di Levante, durante le grandi bonifiche operate negli anni trenta del secolo scorso, riguardanti l'idrovia Fissero-Tartaro-Canalbianco, venne staccato dal Po di Venezia, rimanendone collegato tramite la conca di navigazione di Volta Grimana, e divenne il ramo terminale del Canalbianco.
Il prolungamento del delta all'interno della Sacca di Goro provocò la divisione della stessa: la parte nord venne rinominata Sacca degli Scardovari, la parte sud Sacca dell'Abate che venne poi rinominata Sacca di Goro.
Nei territori pontifici tale opera, osteggiata sin dall'inizio, determinò l'interramento della chiavica dell'Abbate e peggiorò le condizioni di scolo delle acque della bonifica provocando l'impaludamento di oltre 20.000 ettari di terreno bonificato dagli Estensi, nonché l'interramento parziale della Sacca. Il ridotto apporto di materiali comportò inoltre, a sud della Sacca dell'Abate, l'erosione della linea di costa. Sono stati trovati sommersi a 5 km al largo di Ravenna resti di un molo in muratura risalente all'epoca medioevale.
Il progressivo spostamento verso nord del delta del Po è un fenomeno naturale dovuto al maggiore apporto di sedimenti degli affluenti appenninici rispetto a quelli alpini, i quali depongono parzialmente i materiali in sospensione nei laghi alpini e conferiscono acque meno torbide. Il taglio di Porto Viro modificò le conseguenze di questi fenomeni naturali.
Altri fattori sono intervenuti nel XX secolo, rallentando la formazione di nuove terre: la subsidenza e il prelievo dagli alvei di materiali inerti per le costruzioni. In particolare la subsidenza provocata dalle estrazioni di metano, soprattutto negli anni quaranta e cinquanta, provocò l'abbassamento del terreno anche di 3,5 metri sotto il livello del mare.
La grande opera ha dato il nome ai Comuni di Taglio di Po e, sull'altra riva del fiume, a Porto Viro; inoltre a Taglio di Donada, località dell'ex Comune di Donada.
Sette rami principali costituiscono ora il sistema deltizio: Po di Pila, Po di Maistra, Po di Tolle, Po di Gnocca, Po di Goro, Po di Volano e Po di Levante.





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